Siamo
sicuri che ecomafia sia solo seppellire clandestinamente rifiuti
pericolosi? O non è anche sottrarre al circuito legale materiali
preziosi? Stiamo parlando solo di trafficanti di rifiuti o anche di
ladri di materie prime strategiche? Per cercare di rispondere a queste
domande partiamo dai numeri. Nel 2011 l’industria italiana ha impiegato
nei suoi cicli produttivi, dati Istat, circa 35 milioni di tonnellate di
materie prime seconde, cioè materie provenienti dal recupero dei
rifiuti. Il settore del riciclo negli ultimi dieci anni è aumentato a
ritmo vertiginoso: il numero delle aziende è lievitato da 2.183 a 3.034
(+39%), raddoppiando il numero degli occupati, da 12.000 a più di
24.000.
Dunque
una crescita complessiva consistente alimentata da molti settori. Nei
cantieri edili nel 2010 sono stati riciclati e impiegati 51 milioni di
tonnellate di rifiuti inerti e 22 milioni di rottami ferrosi (pari al
77% dell’intera produzione siderurgica nazionale). E l’intera
metallurgia italiana dipende dai rottami metallici. Nel 2011 l’Italia è
diventato il primo paese Ue per quantità di alluminio prodotto da
materie prime seconde, riciclandone ben 927.000 tonnellate. Anche
l’industria del piombo dipende dai rottami (il 92% derivante dalle
batterie esauste): nel 2010 ne sono state recuperate 165.000 tonnellate.
Dopo la metallurgia, l’industria cartaria è quella che dipende di più
dagli scarti: nello stesso anno, più di 5 milioni di tonnellate di carta
da macero sono state reimmesse nel ciclo produttivo, costituendo quasi
il 59% dell’intera produzione nazionale.
L’Italia
è anche il secondo paese Ue per quantità di rifiuti plastici
recuperati, circa 1,7 milioni di tonnellate grazie a 200 aziende
riciclatrici di polimeri che trattano più di 400.000 tonnellate di
polietilene a bassa densità e 300.000 a bassa e media densità, oltre
350.000 di polipropilene, 200.000 di Pet, 100.000 di Pvc. Anche
l’industria del vetro dipende dal recupero: su 5,2 milioni di tonnellate
prodotte nel 2011, più di 2 milioni provenivano dal riciclo. Tuttavia
continuiamo a essere un paese importatore netto di materie seconde: a
fronte di un import di 7,1 milioni di tonnellate, ne abbiamo esportato
2,8 milioni: un saldo negativo di 4,3 milioni di tonnellate di materie,
per un valore di 2,2 miliardi di euro. Dunque nonostante l’alto livello
di recupero c’è ancora margine per una crescita ulteriore.
Un
trend confermato dai dati globali. Negli ultimi dieci anni il commercio
internazionale è praticamente raddoppiato per rottami ferrosi e scarti
di alluminio, carta, plastica e legno. Per i rifiuti ferrosi è passato
dai 61 milioni di tonnellate del 2000 ai quasi 108 del 2011 (un
incremento del 75%), mentre per la plastica l’impennata è stata del 260%
(dai 4,5 milioni di tonnellate del 2000 ai 14,84 milioni del 2011). In
termini di valore, il commercio complessivo di queste cinque materie
vale più o meno 90 miliardi di dollari all’anno.
Secondo
l’Agenzia delle dogane, solo nel 2013 l’Ue ha esportato verso paesi
terzi quasi 17 milioni di tonnellate di cascami e avanzi di metalli,
quasi 10 milioni di carta e cartone, quasi 3 milioni di materie
plastiche e 329.000 tonnellate di gomma. Rimanendo nei confini Ue, la
Germania è la regina dell’export di materiali plastici, circa un milione
di tonnellate (33% sul totale commercio Ue), mentre il Regno Unito ha
il record nell’export di scarti metallici, più di 4 milioni e 700.000
tonnellate (28% sul totale Ue), e di carta e cartone da riciclo, circa 3
milioni e 700.000 (37%). La Francia esporta più di tutti avanzi e
cascami di gomma, quasi 82.000 tonnellate all’anno (25%).
Proprio
perché si tratta di risorse strategiche per l’economia manifatturiera
europea, il Comitato economico e sociale europeo dell’Ue nel 2011 ha
emesso un parere nel quale ipotizza addirittura “dazi alle esportazioni
per proteggere l’Ue dal rischio di perdere materiali di grande utilità”.
Sostenendo, in particolare, che “l’Ue dovrebbe forse negoziare
soluzioni di emergenza in sede di Omc, che stabiliscano condizioni
chiare e trasparenti per le limitazioni o i dazi sui rifiuti di
importanza strategica”.
Waste grabbing
I
rifiuti di oggi sono le nuove miniere urbane da saccheggiare. Per
ciascuno di questi materiali esiste una Borsa dove si quotano i prezzi.
Nel caso dei materiali riciclati a base di polietilene, il Pet azzurro
in scaglie vale anche 1.000 euro a tonnellata. L’allumino riciclato
dalle lattine e gli scarti in rame 1.500 euro, gli pneumatici fuori uso
500, i rifiuti tessili 280, i rottami ferrosi 168 (se acciaio 400), gli
olii vegetali 250, i Raee 300, i rifiuti medici 470 euro e così via.
Altro che seppellirli in un uliveto.
Il
“trafficante nuovo”, quindi, tratta materiali dal valore economico e
strategico enorme. Soprattutto in Italia, che vantando una lunga
tradizione di riciclo è tra i paesi maggiormente colpiti dall’emorragia
illegale di questi materiali verso l’estero. Nel 2010, ricorda Duccio
Bianchi, a fronte di un avvio a recupero industriale di 163 milioni di tonnellate di rifiuti riciclabili (la voce recyclablesinclude
metalli, carta, plastica, vetro, legno, tessili, gomma) su scala
europea, in Italia ne sono state recuperate 24,1 milioni di tonnellate,
il valore assoluto più elevato tra tutti i paesi europei (in Germania ne
sono state recuperate 22,4 milioni di tonnellate). In particolare,
l’Italia è il leader europeo per il riciclo di metalli ferrosi,
plastica, tessili. Dopo Stati Uniti e Giappone, siamo il terzo paese al
mondo per il riciclo dell’alluminio.
Bloccare i traffici illeciti di rifiuti vuol dire dunque difendere un pezzo di green economy.
E, senza smettere di dare la caccia ai vecchi trafficanti su scala
locale, è con questa nuova genia che occorre fare i conti. Veri uomini
d’affari, broker sul mercato internazionale delle materie prime, attenti
alle quotazioni in Borsa, al valore delle cose e alla fame di materie
prime dei singoli paesi. Trafficanti che sono a capo di vere
organizzazioni criminali, anche di tipo mafioso. Reti criminali
informali, flessibili, aterritoriali e situazionali, che proprio per
questo si distinguono dai gruppi criminali veri e propri, non avendo
necessariamente forme strutturate di coordinamento, patrimoni valoriali
da condividere, confini stabili e gerarchici entro i quali muoversi.
Sfuggenti ombre cinesi anche per gli investigatori più esperti.
Queste
reti criminali sanno bene che quei materiali sono fondamentali
soprattutto nei paesi con una consolidata industria manifatturiera e
scarse risorse cui attingere e, non a caso, con avanzati sistemi di
riciclo, come l’Italia o la Germania. O con tassi di crescita a due
cifre, come sta accadendo ai Bric, Brasile, Russia, India e Cina. Scatta
così il waste grabbing per
soddisfare la fame di nuove materie prime da parte di vecchi e nuovi
soggetti economici, una domanda ulteriormente incentivata dalle nuove
politiche sostenibili di incentivo alla raccolta e al riciclo, in particolare in ambito Unione europea.
La
domanda che si fanno i riciclatori in difficoltà per la carenza di
approvvigionamento è infatti: che fine hanno fatto questi materiali? Una
risposta la sta dando l’Agenzia delle dogane con i sequestri alle
frontiere. Nei container bloccati nel 2013 nei porti italiani, tra le
4.359 tonnellate di rifiuti controllate quasi il 69% era costituito da
metalli, più del 14% da plastiche, poi ci sono gomme e pneumatici,
tessili, veicoli rottamati, Raee. Desert waste è
il nome di una delle più recenti indagini su questo fronte, e risale
allo scorso mese di maggio: gli inquirenti hanno sequestrato quattro
semirimorchi destinati in Iran e Libia carichi di rifiuti ferrosi, pezzi
di camion rottamati, batterie esauste, pneumatici e Raee, per un peso
complessivo di circa 70 tonnellate.
Che
i rifiuti abbiano già conquistato il mercato delle materie prime,
seguendo la scia della delocalizzazione produttiva e della
globalizzazione dei commerci sono ancora i dati Eurostat a ribadirlo.
Dal 2001 al 2009 le esportazioni legali di rifiuti dai paesi Ue verso
paesi non Ue sono cresciute del 131%. La crescita delle esportazioni di
plastica tra i paesi Ue, dal 1999 al 2011, è aumentata di ben cinque
volte: da circa un milione di tonnellate a più di cinque. Lo stesso vale
per gli scarti di metalli, più che triplicati nello stesso arco di
tempo. Contemporaneamente sono cresciute le rotte illegali, come
dimostrano i dati dei sequestri effettuati negli ultimi due anni
dall’Agenzia delle dogane nei nostri porti: quasi 20.000 tonnellate di
scarti (per l’esattezza 18.800) destinati illegalmente all’estero,
soprattutto plastica, carta e cartone, rottami ferrosi, pneumatici fuori
uso (Pfu) e rifiuti elettrici ed elettronici (Raee). Con un incremento
di circa il 35% rispetto al biennio 2008-2009, quando i sequestri
doganali erano stati poco più di 12.000 tonnellate. Solo nel 2012, il
59% delle esportazioni di Pfu, il 16,5% di rottami metallici e più del
14% di scarti plastici si sono rivelati fuori legge, quindi sequestrati,
ai controlli delle dogane italiane.
Raee e Terre rare
Tra i rifiuti più gettonati dai trafficanti ci sono i Raee, uno scrigno di materiali eterre rare (Ree
– Rare Earth Elements), 17 elementi chimici della tavola periodica
usati nei prodotti hi-tech (Pc, monitor, telefonini ecc.). Per capirne
il valore, basta analizzare la curva dei prezzi delle Ree. Secondo
l’Enea, questi prezzi hanno visto una crescita stabile e continua dal
2003 a oggi (nonostante una battuta d’arresto nel 2013) seguendo la
forte domanda di alta tecnologia. Oggi la richiesta di neodimio,
praseodimio e disprosio, per la produzione di magneti, continua a
spingere il mercato. In futuro il consumo di europio, terbio e ittrio
nella produzione di fosfori potrà ulteriormente far salire il valore
delle loro quotazioni.
La
produzione mineraria mondiale di queste terre rare per il 2012 – con
una domanda che a breve potrà superare l’offerta – è stata stimata in
110.000 tonnellate dall’Usgs (U.S. Geological Survey). La Cina è il
produttore dominante, rappresentando il 97% della domanda e il 55% delle
riserve. Un monopolio di fatto.
In
Italia non esistono ancora impianti in grado di estrarre le terre rare
dai Raee. Perdiamo così una incredibile risorsa che i trafficanti e i
canali informali sono – manco a dirlo – prontissimi a intercettare: i
mercanti di rifiuti solo in Italia governano circa 900.000 tonnellate
all’anno di Raee. È contro le loro ruberie che si è scagliato
recentemente uno dei principali consorzi italiani del settore, Ecodom
sostenendo che più del 65% di questi scarti finisce nel circuito
illegale, diretto soprattutto verso la Cina e alcuni paesi africani, con
un andamento dei traffici che rispecchia, secondo l’analisi del
direttore generale Giorgio Arienti, le quotazioni delle materie prime
seconde: quando crescono anche i traffici illeciti aumentano, e
viceversa.
Il
discorso non cambia in Europa, dove non si producono Ree e il riciclo è
limitato a una quota simbolica (1%), mentre si producono
apparecchiature elettriche ed elettroniche che poi diventano Raee. Non
sorprende allora se l’Ue negli ultimi cinque anni sia stato un
importatore netto di composti di Ree, metalli e leghe, per circa 12.000
tonnellate anno.
Bloccare
i flussi illegali di questi scarti diventa quindi sempre più urgente
per evitare danni incalcolabili all’economia legale e all’ambiente. Con
una risposta che non può appiattirsi alla sola dimensione repressiva,
che serve a poco senza l’innovazione dei processi e dei prodotti: la
migliore lotta alle ecomafie e alla criminalità ambientale è il
passaggio verso modelli economici completamente diversi, che abbandonino
la classica impostazione lineare a favore di quella circolare,
partecipata e sostenibile. Come ci insegnano anni di indagini sulle
rotte dei trafficanti di monnezza,
il miglior argine contro il loro strapotere è cambiare il mercato,
sottraendo loro campo d’azione, ossigeno, alibi. Mettendoli fuori dalla
storia.
fonte articolo: http://www.materiarinnovabile.it/art/46/Ladri_di_rifiuti
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