Il dossier di Legambiente
Tralasciata l’unica vera grande opera di cui il Paese ha bisogno
[4 dicembre 2012]
In Toscana, dopo l'alluvione, l'inverno
porta in dono la neve. Una nuova allerta meteo riguarda la Regione,
spazzata da vento e pioggia. Un assaggio vero della stagione fredda, ma
con un'ansia tutta particolare: quella di nuove frane, nuovi
allagamenti. La Toscana è una delle regioni più colpite da queste
emergenze - il 98% dei suoi comuni è a rischio idrogeologico - ma non è
certo la sola (vedi grafico sopra, fonte Legambiente).
Nel suo rapporto I costi del rischio idrogeologico - emergenza e prevenzione,
redatto da Legambiente, si legge che a seguito dei cambiamenti
climatici «negli ultimi anni questi eventi sono diventati sempre più
frequenti. Analizzando i dati oggi disponibili, dal 1948 al 2011, se
fino al 2000 le alluvioni e le frane coinvolgevano mediamente 4 regioni
ogni anno, negli ultimi dieci anni invece il numero di territori
coinvolti è raddoppiato, passando a 8. Così come sono aumentati i
fenomeni meteorici che prima risultavano eccezionali».
Fenomeni
che ogni volta mietono danni economici, sociali, ambientali e purtroppo
anche «vite umane», alle quali è impossibile attribuire un prezzo. Ma,
per il resto? «Solo per far fronte alle spese di somma urgenza e per le
emergenze causate dagli eventi avvenuti nel triennio 2009-2012, a
partire dalla colata di fango in provincia di Messina a inizio ottobre
2009, abbiamo speso oltre 1 milione di euro al giorno, per un totale di
poco più di 1 miliardo stanziato per far fronte agli ingenti danni
causati solo dai principali eventi. Cifre molto elevate che coprono una
parte dei danni censiti in conseguenza di frane e alluvioni che, solo
considerando gli eventi principali registrati in Sicilia, Veneto,
Toscana e Liguria, arrivano a 2,2 miliardi di euro».
Costi
ingenti, i quali non possono essere certo addossati come una "colpa"
agli impersonali eventi meteorologici, quanto alle cure mancanti per un
territorio - quello italiano - troppo fragile e troppo bello per essere
abbandonato. «La prevenzione - continua infatti il rapporto del Cigno
Verde - tarda ad arrivare. Da un'analisi degli interventi attuati e
finanziati fino ad oggi, risulta che negli ultimi 10 anni solo 2
miliardi di euro sono stati effettivamente erogati per attuare gli
interventi previsti dai Piani di assetto idrogeologico redatti dalle
Autorità di bacino (Pai), per uno stanziamento totale di 4,5 miliardi di
euro. Fondi che sono destinati a coprire solo i lavori più urgenti,
ovvero i 4.800 interventi nelle aree a rischio più elevato, su un totale
di 15mila interventi previsti da tutti i Pai. La metà circa di queste
risorse è stata stanziata attraverso gli accordi di Programma siglati
tra il ministero dell'Ambiente e le Regioni, proposti a partire dal
disastro di Messina del 2009 e siglati tra il 2010 e il 2011. Ma ancora
oggi dei 2,1 miliardi messi in campo attraverso il cofinanziamento
Ministero-Regioni, solo 178 milioni sono stati realmente erogati per
realizzare o cominciare solo il 3% degli interventi previsti».
Lo
stato di avanzamento dei lavori previsti dai Pai è dunque in forte
ritardo, con una percentuale variabile a seconda della Regione osservata
(vedi grafico in photogallery a questo link: http://www.greenreport.it/_new/immagini/big/2012_12_4_14_54_00.jpg ).
«Il totale delle risorse
economiche previste per l'attuazione di tutti gli interventi censiti dai
Pai ammonta» ai 40 miliardi che il ministro dell'Ambiente, Corrado
Clini, «si è impegnato a reperire nei prossimi anni per un grande
intervento nazionale di messa in sicurezza del territorio». Ma
l'associazione ambientalista precisa: «Anche quando avremo trovato tutte
queste risorse, il problema può considerarsi risolto? Assolutamente no.
La cifra stimata e di cui si discute molto, anche in questi giorni post
emergenza, è ottenuta come somma di tutti gli interventi previsti dai
Piani di assetto idrogeologico. Si tratta di un piano di lavoro più
adatto a risolvere situazioni puntuali piuttosto che far fronte a un
problema complesso ed esteso quale è oggi il rischio idrogeologico nel
nostro Paese. Inoltre in molti casi si tratta di interventi programmati e
pensati molti anni fa, la cui attualità, alla luce dei cambiamenti del
clima e del territorio di questi ultimi anni va tutta verificata. Però
il dibattito è ancora oggi incentrato soprattutto su come reperire le
risorse senza chiedersi quale debba essere un'efficace politica di
prevenzione e difesa del suolo».
Cercare
le risorse necessarie agli interventi è un dovere ed un obbligo, un
successo quando sarà compiuto. Ma per mettere in campo una cifra
adeguata e saperla spendere, creando occupazione e salvaguardando il
territorio, «serve un Piano nazionale che preveda un'azione urgente ed
efficace per la mitigazione del rischio - chiosa Vittorio Cogliati
Dezza, presidente Legambiente - che stabilisca strumenti e priorità
d'intervento e formuli una nuova proposta di gestione del territorio.
Per questo è necessario il coinvolgimento di tutti i soggetti portatori
d'interesse: la comunità scientifica, gli esperti, gli enti competenti,
le amministrazioni locali interessate, il mondo dell'agricoltura, le
associazioni ambientaliste e i cittadini che vivono nei territori a
rischio. Inoltre la manutenzione del territorio assume un ruolo
cruciale, soprattutto se tradotta in presidio territoriale svolto dalle
Comunità locali. Infine si dovrà applicare una politica attiva di
"convivenza con il rischio", sistemi di previsione delle piene e di
allerta e piani di protezione civile aggiornati, testati e conosciuti
dalla popolazione».
FONTE: http://www.greenreport.it/_new/index.php?page=default&id=19264&mod=greentoscana (in rosa le modifiche apportate da assovaldisieve e vivereinvaldisieve)
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