Conoscere per conservare: un itinerario virtuoso nel patrimonio storico-artistico
di
Chiara Ceschi
Conoscere
per conservare: un motto di cui si erano appropriati
gli operatori dei Beni Culturali nei primi anni ’80 quando, soprattutto i
giovani storici dell’arte venivano inviati a catalogare, senza distinzione di
tipologie, gli arredi degli edifici sacri in città e nel territorio. La
campagna di catalogazione progettata dalla Soprintendenza poteva talora portare
all’allestimento di una mostra e alla pubblicazione di un catalogo scientifico,
coinvolgendo le amministrazioni e gli studiosi locali. Era la situazione ideale
per presentare la storia del luogo attraverso le opere d’arte e i manufatti
artigianali, attenuando il distacco che solitamente esisteva tra lo specialista
e il cittadino, di cui ora si sollecitava uno sguardo nuovo e consapevole.
In
alcuni casi si è innescato un circolo virtuoso: nel paese di Battaglia Terme,
nel Padovano, la catalogazione delle opere della chiesa settecentesca di San
Giacomo, sfociata in una mostra e nel relativo catalogo nel 1982, ebbe come
conseguenza finale l’adozione della chiesa da parte del locale Centro per la
Ricerca e la Documentazione storica: il forte impegno a finanziare interventi
di conservazione e di restauro dell’edificio e del ciclo di dipinti, iniziato
nel 1988, è giunto sino al 2017. Appare evidente che, in questa occasione,
venne da tutti compresa l’importanza della ricerca e dello studio propedeutici
all’azione del conservare, azione che doveva essere costante e programmata; una
conoscenza “restituita” in tempo reale e in
loco ai cittadini, resi consapevoli che non esiste l’opera d’arte “minore”
considerata in rapporto al “capolavoro”. La storia artistica del paese si
veniva configurando come un intreccio di tanti tasselli, ognuno indispensabile
e unico, come i fili di un tessuto di cui erano i testimoni e custodi.
L’azione
di tutela del Bene Culturale deve necessariamente considerare in primis questo aspetto di “realtà
diffusa”: quando si opera sul territorio costruendo una rete efficace tra
istituzioni pubbliche e private, coinvolgendo i cittadini nella conoscenza e
nella conservazione del bene comune, si raggiungono più obiettivi, e più duraturi.
La caratteristica del patrimonio culturale italiano è proprio l’amplissima
gamma di tipologie delle opere presenti capillarmente nelle città come nei
piccoli centri altrettanto ricchi di storia, in parallelo, ci sembra, con
l’alto grado di biodiversità che offre l’ambiente naturale della penisola.
Conoscere
per conservare, uno slogan ripreso di recente dopo un lungo periodo di
silenzio; lo testimoniano anche le numerose pubblicazioni sull’edilizia storica
e le relazioni sui restauri condotti in ogni campo negli ultimi 10-15 anni:
danno conto di una maggiore consapevolezza della fragilità del nostro
patrimonio storico-artistico e della necessità impellente di seguire la
filosofia della manutenzione costante e programmata, della prevenzione.
Si
impone una sinergia tra enti di ricerca, istituzioni, aziende private per
monitorare e intervenire nell’immediato e con soluzioni a basso costo, proprio
perché i problemi sono ancora ridotti; molto spesso il restauro, programmato in
caso di ormai forte problematicità e con spese ingenti, ha dei risultati
limitati in rapporto alla reale tutela del bene. Senza considerare, infine,
l’enorme indotto che la prassi della manutenzione costante genererebbe in ogni
ambito, creando lavoro a maestranze sempre di un certo livello, ultime eredi
della ricca tradizione artigianale italiana.
Nello
stesso arco cronologico si possono citare lodevoli iniziative a livello
pubblico, come la costituzione nel 2001 dell’Istituto per la Conservazione e la
Valorizzazione del Bene Culturale (ICVBC) del CNR che offre anche servizi di
monitoraggio e diagnostica del patrimonio edilizio o l’accordo recentissimo tra
il Mibact e l’Anas per la figura dell’archeologo di cantiere, pronto a
intervenire al momento sulle strade interessate da lavori. Ma sono iniziative
che non appartengono a una strategia unitaria e fanno caso a sé. Si sente la
mancanza di una struttura organizzativa e operativa, di una progettazione di
intervento ad ampio raggio, pluridecennale, la sola che renderebbe possibile
ottenere risultati significativi e duraturi nell’azione di tutela.
Nel
settore dei Beni Culturali si è sempre registrata una cronica carenza di
risorse e di organici, aggravatasi negli ultimi anni al punto da mettere ora in
pericolo l’azione di tutela di un patrimonio già fortemente stravolto.
Ora
le risorse ci sono.
Occorre
quindi riprogrammare la formazione di personale qualificato nei vari ambiti e
il loro continuo aggiornamento, all’interno di un quadro di assunzioni
strutturate e non di carattere emergenziale come prevede l’ultimo bando del
Mibact (Avviso di selezione del 29 dicembre 2020). Un intervento che aumenterà
la platea dei precari che operano nel Ministero e che ignora la mozione
approvata dal Senato il 22 luglio 2020 che impegnava il Governo “a varare nel triennio 2020-2022 un efficace
piano di assunzioni per compensare la vacanza organica del MIBACT”. Un
intervento che penalizza le giovani generazioni poiché il bando richiede
esperienze comprovate di 10/15 anni all’interno di un contratto di collaborazione
inferiore ai 12 mesi.
Nel prossimo futuro, nel campo della MANUTENZIONE E CONSERVAZIONE del nostro ricchissimo patrimonio, vorremmo sentir parlare e agire una “visione strategica nazionale” e non più una “logica dell’emergenza” (Corte dei Conti, 22 dicembre 2020).
Chiara Ceschi
Ha conseguito la Laurea in Lettere moderne
presso l’Università di Padova discutendo la tesi in storia dell’arte moderna Opere pittoriche del monastero di S. Maria
di Praglia, relatore il prof. Rodolfo Pallucchini. Ricercatrice storica
dell’arte presso l’Istituto di Storia dell’Arte della Fondazione Giorgio Cini
di Venezia, dal 1981 al 2019; cultore della materia per l’insegnamento di Museografia presso l’Università di
Padova e per l’insegnamento di Storia
della critica d’arte presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia.
L’interesse per la storia del territorio e la
tutela del patrimonio storico-artistico si esplica con l’attività di
catalogazione di opere d’arte (OA) per la Soprintendenza del Veneto e per il
Centro Regionale di catalogazione e di restauro a Villa Manin di Passariano; la
partecipazione all’attività di Italia Nostra, dall’esperienza sul campo in
Friuli in seguito al terremoto del 1976 ad oggi; le pubblicazioni dedicate alla
divulgazione di taglio scientifico (Monselice
e le architetture di prestigio in età rinascimentale, 1985; Chiese, conventi e monasteri: una rassegna
del patrimonio artistico tra Settecento e Ottocento, 1994; Il collezionismo di opere emiliane nel
Veneto, 1999; Sfondi di città e di
paesaggio, 2003; Cittadella città
murata, 2007; Santa Maria Assunta di
Praglia: storia arte vita di un’abbazia benedettina, 2013).
Nessun commento:
Posta un commento