
"Questo documento - spiega la federazione - nasce dalla necessità di evitare che le incertezze nella gestione e le difficoltà nella valorizzazione dei rifiuti di prodotti in bioplastica (soprattutto agli occhi dell’opinione pubblica e delle amministrazioni locali) ricadano sulle sole imprese che raccolgono e trattano i rifiuti e che, di conseguenza, la soluzione al problema rimanga a loro esclusivo carico".
Utilitalia chiede di valutare (e rivalutare) con molta attenzione "non solo le opportunità, ma anche i rischi associati alla progressiva diffusione di manufatti in bioplastica, al fine di governare questo sviluppo individuando le più corrette modalità di gestione di tali materiali lungo l’intero ciclo di vita”. "Occorre evitare - aggiunge - che le scelte siano dettate dalle sole logiche di mercato, senza che sia costruita una preventiva strategia che coinvolga tutti i soggetti della filiera”.
I rischi evidenziati dalla federazione sono legati anche all’aumento delle importazioni di manufatti in bioplastica dall’Asia, che potrebbero non rispettare i più rigidi standard europei o esporsi a contraffazioni (come nel caso dei sacchetti).

Inoltre, se il manufatto in bioplastica è un imballaggio, su di esso grava un CAC, il quale dovrebbe generare un corrispettivo per il ristoro dei costi di gestione dei rifiuti che ne derivano. “Tuttavia - sottolinea la Federazione - allo stato attuale, la raccolta delle bioplastiche con il rifiuto organico non è remunerata dal Sistema dei consorzi obbligatori, rendendo con ciò impossibile accedere ai corrispettivi Corepla sia per le aziende di raccolta sia per gli impianti di trattamento. In questo modo, i costi della selezione e del trattamento delle bioplastiche che finiscono negli scarti devono essere sommati ai mancati ricavi derivanti dai mancati corrispettivi”.

"Tuttavia - si legge nel position paper di Utilitalia - condizioni e tempi previsti nella norma non coincidono in modo univoco con quelli reali dei processi industriali, anche perchè gli impianti oggi esistenti sono stati progettati per trattare determinate matrici (prevalentemente rifiuti biodegradabili di cucine e mense o di giardini e parchi) e non certo bioplastiche”.
Anche il 'marchio di compostabilità’ di un materiale viene spesso interpretato, in modo diretto ed estensivo, come una certificazione della sua effettiva compatibilità con i processi industriali di trattamento del rifiuto organico. “ Il rispetto della UNI EN 13432:2002 - continua il documento - rappresenta una condizione necessaria ma non sufficiente di compostabilità a livello industriale con gli esistenti processi industriali di trattamento del rifiuto organico. Per questo ad esempio il marchio 'Compostabile CIC' comprende chiaramente la dicitura: 'Verifica con il tuo Comune/Gestore Locale le modalità di conferimento e raccolta dei rifiuti'”.
Anche il 'marchio di compostabilità’ di un materiale viene spesso interpretato, in modo diretto ed estensivo, come una certificazione della sua effettiva compatibilità con i processi industriali di trattamento del rifiuto organico. “ Il rispetto della UNI EN 13432:2002 - continua il documento - rappresenta una condizione necessaria ma non sufficiente di compostabilità a livello industriale con gli esistenti processi industriali di trattamento del rifiuto organico. Per questo ad esempio il marchio 'Compostabile CIC' comprende chiaramente la dicitura: 'Verifica con il tuo Comune/Gestore Locale le modalità di conferimento e raccolta dei rifiuti'”.

Il position paper si chiude affermando "che l’evoluzione dell’industria delle bioplastiche richiederà nei prossimi anni importanti trasformazioni al sistema nazionale di gestione e recupero delle risorse. Tuttavia, solo se questa trasformazione riuscirà ad essere governata nell’ambito di una strategia condivisa fra tutti i soggetti della filiera, le bioplastiche potranno continuare ad essere una grande opportunità in termini di efficienza industriale e sostenibilità ambientale".
Vedi anche: La gestione e il recupero delle bioplastiche - Federazione Utilitalia (PDF)
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