Un fronte agguerrito di speculatori edilizi, industriali del
marmo delle Apuane e imprenditori enologici, singoli e associati – purtroppo
con il sostegno convinto o interessato di molti amministratori locali – da
giorni sta manifestando, a mezzo stampa, la sua insofferenza e la sua
contrarietà per qualsiasi nuova regola di governo del territorio che sia
finalmente e responsabilmente dettata da criteri razionali di compatibilità con
gli equilibri dell'ambiente e del paesaggio, del resto in totale coerenza con
le normative europee, italiane e toscane.
Tale martellante e sconcertante levata di scudi contro il
primo Piano di Indirizzo Territoriale della Regione Toscana con valenza di
piano paesaggistico, approvato dal Ministero per i Beni e le Attività
Culturali e adottato dal Consiglio Regionale (ora nella fase della raccolta
delle osservazioni), sta assumendo le dimensioni di una vera e propria
crociata, che contrasta radicalmente con le richieste dei cittadini e delle
associazioni che hanno a cuore la tutela e la valorizzazione sostenibile dei
beni comuni a base paesistico-ambientale (secondo il dettato dell'art. 9 della
Costituzione e di tante leggi vigenti, a partire dalla Convenzione Europea del
Paesaggio).
Siamo di fronte ad una prepotente pretesa da parte di
precise forze economiche di eliminare non solo qualsiasi prescrizione ma
addirittura qualsiasi direttiva-indirizzo o anche suggerimento presente nel
PIT, al fine di avere mani completamente libere di potere trasformare a
piacimento il territorio rurale – vincolato o non vincolato che sia – da parte
di palazzinari, scavatori e viticoltori-agricoltori: una pretesa del tutto
inaccettabile per i cittadini e le associazioni sensibili per le sorti del
nostro patrimonio già abbondantemente degradato. E' facile immaginare, infatti,
le conseguenze inevitabilmente negative che l'accoglimento da parte
dell'amministrazione regionale di tale anacronistico indirizzo avrebbe sul suolo
e sul territorio in termini di ulteriore consumo e di ulteriore aggravamento
degli equilibri/squilibri idro-geologici: processi che, in Toscana e in Italia,
hanno indiscutibilmente da tempo superato – rispetto agli altri Paesi europei –
il livello di guardia, come dimostrano i dati sulla superficie urbanizzata, in
forte crescita negli ultimi decenni, e gli eventi calamitosi di inondazioni e
frane che si succedono con sempre maggiore frequenza e rovinosità.
Quanto alla sostanza del problema per i nuovi vigneti o i
reimpianti viticoli (come per tutte le monocolture di rilevanti dimensioni), è
arrivato il momento di fare chiarezza.
Le affermazioni apodittiche espresse da alcuni agricoltori
singoli o associati circa la presenza, nel piano, di norme cogenti di
significato negativo, sono del tutto infondate – e quindi false, e forse
dettate da qualche oscuro disegno politico –, come può verificare chiunque
attivando il sito internet della Regione Toscana dove sono visibili tutti i
documenti del Piano.
Infatti, in nessuna parte del PIT si prescrive il divieto
assoluto di creare nuovi vigneti. Basti qui ricordare l'art. 12 comma 2c della
specifica “Disciplina per l'invariante strutturale I caratteri
morfo-tipologicio dei paesaggi rurali”, che si limita a prevedere:
“...la
realizzazione, negli interventi di riorganizzazione agricola, di una maglia dei
coltivi anche più ampia di quella tradizionale e compatibile con la
meccanizzazione agricola, purché ben strutturata sul piano morfologico e
percettivo, ed efficacemente equipaggiata dal punto di vista ecologico e del
contenimento dei fenomeni erosivi...”.
La lettura degli “Indirizzi per le politiche”, ovvero
la parte in qualche modo regolamentare per i 20 ambiti in cui è stata suddivisa
la Toscana, dimostra che in nessuna area della regione – neppure in quelle
della viticoltura di grande pregio, come il Chianti (ambito 10) e le aree di
Montalcino (ambito 17 Val d'Orcia e Val d'Asso) e di Montepulciano (ambito 15
Piana di Arezzo e Val di Chiana) – viene affermata l'assoluta impossibilità di
realizzare impianti viticoli o di altre monocolture.
Invece, partendo dalla evidenziazione di oggettive criticità
di ordine geo-morfologico e idraulico (processi di erosione e dilavamento dei
versanti in atto, o comunque prevedibili, per la dominanza smodata delle
lavorazioni a rittochino, cioè praticate secondo le massime pendenze),
oltre che di ordine paesaggistico (semplificazione eccessiva della maglia
agraria e impoverimento dei contenuti paesaggistici tradizionali), ci si limita
ad esprimere termini come “indirizzi” e “incentivi”. E ciò, a favore della
varietà e dell'alternanza delle coltivazioni, vigneti compresi, meglio se di
dimensioni più piccole rispetto a quelli abnormi, di tipo californiano, fin qui
realizzati, con cura maggiormente attenta della vegetazione arborea e arbustiva
di coltivazione e di corredo e delle sistemazioni idraulico-agrarie, per
diffondere quelle più efficaci (augurabilmente quelle a orientamento
orizzontale od obliquo). Il fine è o dovrebbe essere a tutti evidente: quello
di limitare “i fenomeni erosivi”: possibilmente “mediante l'interruzione delle
pendenze più lunghe e la predisposizione di sistemazioni di versante”, come si
legge per Montalcino e per altre aree.
A conclusione, viene da chiedersi se i viticoltori toscani
conoscano i paesaggi viticoli della concorrenza italiana ed europea, con
risposta obbligata negativa.
Gli indirizzi sopra enunciati del PIT – indirizzi, quindi assolutamente non divieti e non prescrizioni
vincolanti! – sono razionali e del tutto condivisibili. Essi trovano conferma
non solo nella tradizione sapiente dell'agricoltura toscana
sette-otto-novecentesca – specialmente incentrata sugli agronomi imprenditori
illuminati dell'Accademia dei Georgofili (a partire dai ben noti Agostino
Testaferrata, Cosimo Ridolfi e Bettino Ricasoli) –, ma anche nell'esperienza
tecnico-scientifica attuale, che per molti versi si richiama all'antico, di
molte aree viticole di qualità dell'Italia settentrionale (Langhe e Monferrato,
vallate alpine a partire dalla Val di Cembra, Friuli Venezia Giulia come ad
esempio l'area di Cormons, ecc.) e dell'Europa centro-occidentale (ad esempio
la regione renana svizzera-tedesca-francese e quella danubiana della Bassa
Austria e dell'Ungheria).
Tutte queste aree ancora oggi presentano vigneti sistemati
con una varietà di orientamenti e con sistemazioni efficaci in termini di
difesa del suolo: ovviamente, non più solo i terrazzamenti stretti e ripidi
della viticoltura eroica, ma anche quelli più larghi, appositamente
raccordati tra di loro e di dimensioni tali da consentire il lavoro
meccanizzato. Tali aree, per l'armonia, l'equilibrio e anche la varietà delle
forme del loro bel paesaggio, si sono affermate specificamente anche come
destinazioni turistiche di un crescente movimento nazionale e internazionale verde,
proprio in virtù della stretta integrazione fra qualità dei prodotti e qualità
del paesaggio, ciò che produce lavoro e benessere nel territorio, a partire
dalle imprese agricole.
Al riguardo, basti ricordare le aree viticole di Lavaux in
Svizzera e del Medio Reno tra Koblenz e Bingen in Germania, che da una decina
d'anni sono state riconosciute come patrimonio dell'umanità dall'UNESCO.
Ebbene, sarebbe troppo fare capire che le indicazioni del
PIT guardano proprio a tali esperienze e dovrebbero essere accolte come
indirizzi progressivi nella direzione dello sviluppo sostenibile proprio delle
aree rurali e dell'agricoltura della Regione, da attuare con lungimirante
convincimento e senso di riconoscenza anche e in primo luogo dagli agricoltori
toscani?
Leonardo Rombai
Professore Ordinario di Geografia nell'Università di Firenze
Presidente di Italia Nostra, Sezione di Firenze
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