Seguono le adesioni alla proposta lanciata dall'Avv. Gianluigi Ceruti su un PIANO DI MANUTENZIONE dei Beni Pubblici Ambientali e Culturali da finanziare coi Fondi Europei, che abbiamo sottoscritto come associazioni della Valdisieve (vedi altro Post). Pubblichiamo di seguito il contributo dell'Avv. Giorgio Roman sulla manutenzione dei beni pubblici che preserva la vita, garantisce l'integrità del patrimonio e crea occupazione.
di Giorgio Roman
A cavallo tra la fine di febbraio scorso e l’inizio
di marzo, per iniziativa della Procura della Repubblica di Barcellona Pozzo di
Gotto (ME), guidata dal Dott. Emanuele Criscenti, sono stati posti sotto
sequestro –accordato dal Giudice per le indagini preliminari Dott. Salvatore
Pugliese- 22 viadotti/cavalcavia dell’Autostrada Messina-Palermo. I Consulenti
designati dalla Magistratura hanno rilevato, in termini di alta probabilità, il
pericolo urgente per il crollo e la rovina per omissione di manutenzione
di strutture.
I provvidi interventi dell’Autorità giudiziaria
confermano, una volta di più, la necessità imprescindibile di prevedere risorse
finanziarie adeguate, costanti e ricorrenti, all’interno del piano nazionale di
riforme pluriennali e specificamente del più noto recovery plan, che l’Italia si accinge ad approvare e
trasmettere all’Unione Europea entro il 30 aprile 2021.
Nella transizione post emergenziale, alcuni
Cittadini di ogni parte d’Italia, espressione della società civile, hanno
chiesto al Governo italiano nella persona del Presidente del Consiglio Mario
Draghi, di riservare congrue dotazioni finanziarie alla MANUTENZIONE dei beni pubblici (ponti e strade, edifici
scolastici e acquedotti, beni lato sensu
ambientali e culturali, anche di proprietà privata).
Il promotore di questa iniziativa è stato Gianluigi
Ceruti, deus ex machina della
innovativa legge 394 del 1991 sui Parchi nazionali e le altre aree protette
terrestri e marine, e, più recentemente, autore di un ricorso giurisdizionale
amministrativo incentrato sul PRINCIPIO DI PRECAUZIONE accolto dal
Consiglio di Stato (sentenza n. 2964 in data 11 maggio 2020, Fabio Taormina
Presidente, Cecilia Altavista estensore). La pronuncia, già oggetto di
pubblicazione e di plurimi commenti adesivi su riviste giuridiche autorevoli da
parte di specialisti del settore, rileva, con particolare vigore, che le
Amministrazioni pubbliche e le Autorità giudiziarie debbono applicare il
fondamentale principio di precauzione a tutela dei cittadini, della salute,
della salubrità e sicurezza del contesto in cui vivono, dell’ambiente: nella
valutazione preventiva rigorosa dei possibili rischi.
Tale principio, di derivazione comunitaria, si
attaglia simultaneamente, quale criterio operativo alla dimensione scientifica,
a quella economica (per la declinazione in concreto del concetto di sviluppo sostenibile), financo a quella
etica (rivolgendo ad esso la misura del grado di responsabilità sociale per le
scelte politico-amministrative e le decisioni giurisdizionali).
L’erogazione di risorse finanziarie per la
conservazione delle opere strutturali, storico-artistiche e ambientali, a
vantaggio della comunità e ad eliminazione (o quantomeno a limitazione) di
potenziali rischi per la stessa, incarna e attua il principio di precauzione
primariamente, mediante un’operazione prognostica.
Con tali strumenti concreti, l’ordinamento previene
catastrofi e il degrado dei vari beni comunque di interesse pubblico.
Diversamente, i beni immobili anche di importanza storico-artistica, pubblici o
privati che siano, nonché le entità di interesse naturalistico rischierebbero
di soffrire maggiormente, a breve/medio termine, dal mancato impiego di risorse
(in epoca pre-Covid già inadeguate): risorse che - a seguito della costante
disattenzione degli Amministratori, centrali o locali ed in assenza di chiari
segnali di impellenti esigenze - subirebbero l’ennesima “svista” o verrebbero
dirottate altrove, nonostante i reiterati richiami in passato alle esigenze di
interventi preventivi e tempestivi, come è accaduto con la Commissione Rodotà
nel lontano 2007 allorquando si propugnò la gestione e valorizzazione dei beni
pubblici.
La proposta riguardante il recovery plan italiano
appare così
urgente e provvidenziale: invero riecheggia ancora il severo monito della Corte
Suprema di Cassazione (a Sezioni Unite, cfr. sentenza n. 25982/2010) secondo il
quale la pubblica amministrazione è tenuta a far sì che il bene pubblico “non sia fonte di danno per il privato, ed in
caso di inosservanza nella sistemazione e manutenzione di aree o beni pubblici
(delle regole tecniche, ovvero) dei comuni canoni di diligenza e prudenza,
ricorre la giurisdizione del giudice ordinario”, in forma risarcitoria nei
confronti di chiunque abbia consentito, attivamente od omissivamente, alla
realizzazione di un’opera lesiva.
Non può sfuggire, infatti, che l’accoglimento, da
parte del Governo italiano prima e dell’Unione Europea dopo, della proposta di
manutenzione dei beni pubblici strutturali, culturali e ambientali nel recovery
plan garantirà la prevenzione dei
disastri cui abbiamo assistito, anche recentemente, e nel contempo favorirà
l’occupazione, l’attivazione, l’integrazione, l’inclusione e le politiche di
innovazione sociale, in particolare risultando finalizzata alla crescita
personale e professionale dei giovani,
oltreché delle imprese del
settore delle manutenzioni, del comparto dell’edilizia, degli studi
specialistici del ramo tecnico, dell’indotto cui si rivolge. Troveranno così
spazi di apertura il coinvolgimento e l’intervento anche del cosiddetto terzo settore, originando
indubbiamente una occasione, anche culturale, per rafforzare il legame storico
che deriva dalla riscoperta dei beni restaurati e per accrescere la sensibilità
ambientale, creare proseliti e diffondere quella “cultura verde”, spesso
fraintesa.
La proposta si inserisce, quindi, nell’alveo delle misure necessarie all’autentico progresso civile, materiale e spirituale della società, ove alimenterebbe forme diverse e destinatari ulteriori del rinnovamento, in linea con lo spirito costituzionale, quale fil rouge della ben motivata esigenza di tutela del patrimonio storico-artistico e paesaggistico-ambientale (sviluppatasi “da Croce a Bottai”, e sino ai giorni nostri, come ha scritto Salvatore Settis), nel rinnovato spirito “eurounitario” che il Governo dovrà mantenere e fortificare per garantire la propria identità e l’universale riconoscimento che il turismo, fonte fondamentale di ricchezza e occupazione per l’Italia, da sempre certifica.
Giorgio Roman
Svolge la professione di avvocato prevalentemente nel Veneto. Ha conseguito la laurea specialistica in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Padova, con tesi in Diritto costituzionale, sul tema “I magistrati e il divieto di iscrizione ai partiti politici”, di cui è stato relatore il Professore Mario Bertolissi.
In precedenza aveva conseguito la laurea triennale in Scienze giuridiche con tesi di laurea in Diritto Penale, dal titolo “L’idoneità degli atti nel delitto tentato”, di cui è stato relatore il Professore Alessandro Alberto Calvi.
Giorgio Roman è segretario del consiglio direttivo dell’attiva Camera degli Avvocati di Este, Monselice e Montagnana ed accompagna l’attività forense con la partecipazione costante a convegni e conferenze di settore in differenti rami del Diritto, con particolare interesse per gli aspetti legati alla tutela del territorio, dell’ambiente, delle sue trasformazioni e degli aspetti legali e contrattualistici che ne derivano.
Di recente Giorgio Roman ha compiuto l’aggiornamento (2010-2019) di dottrina e giurisprudenza del libro postumo del magistrato Davide Montini Trotti, “Gli animali hanno diritti” pubblicato da Mimesis Edizioni (2019).
Nessun commento:
Posta un commento