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venerdì 11 gennaio 2019

Ricorso al TAR della Toscana contro l’uso indiscriminato dei pesticidi nelle aree di salvaguardia delle acque sotterranee

Quattro realtà associative Toscane (L’Associazione “ALLEANZA PER I BENI COMUNI”; l’Associazione “COMITATO ACQUA BENE COMUNE – PISTOIA”, l’Associazione “BIO-DISTRETTO DEL MONTALBANO”, e l’Associazione “GRUPPO-EMPOLESE EMISFERO-SUD”), oltre a dieci privati cittadini, hanno presentato – tramite l’avv. Sandro Ponziani del Foro di Città di Castello- ricorso al TAR della Toscana, contro la Delibera della Giunta Regionale della Toscana, n.793, del 16.07.2018, e contro il decreto del Presidente della Giunta Regionale del 30.07.2018, n. 43/R, con i quali è stato approvato il cd. P.U.F.F. 
(Piano per l’Uso Sostenibile  dei prodotti Fitosanitari e dei Fertilizzanti ), che consente l’utilizzo di 29 pesticidi, anche all’interno delle cd. aree di salvaguardia delle acque sotterranee.
Si tratta di sostanze con profili di grave tossicità, e di pessimo profilo ambientale, tutte incompatibili, come risulta dalle stesse schede dei prodotti autorizzati, con una buona qualità delle acque, ed estremamente nocive per la salute umana ed animale; addirittura, ben cinque di queste (Acrinatrina, Azinfos Etile, Azinfos Metile, Demeton S-metile, Ometoato), non risultano neanche autorizzate in Unione Europea; mentre altre sono già candidate alla sostituzione.  I ricorrenti ritengono che gli atti impugnati costituiscano una violazione del principio costituzionale di tutela della salute, come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, di cui all’art. art.32 della Costituzione, rappresentando le sostanze in esso elencate, autorizzate dalla regione Toscana in ambiti strategici come le riserve idriche sotterranee, un rischio per la popolazione e la qualità ambientale, sia diretto (in seguito ad esposizione) che indiretto (per alimenti e acqua contaminanti).

Basti pensare che tra le 29 sostanze permesse, vi sono anche glifosate e clorprifos, la cui pericolosità per la salute umana è ormai  accertata: il glifosate, l’erbicida più diffuso al mondo, è stato classificato come cancerogeno probabile (2A) dall’Agenzia per la Ricerca sul Cancro, ma agisce anche come “interferente endocrino”, ha azione genotossica, e altera l’ambiente microbico intestinale, che è essenziale per il buon funzionamento dell’organismo e delle funzioni cerebrali; recenti ricerche correlano l’erbicida alla comparsa di autismo [1]. La stessa Monsanto Company, che lo produce, lo descrive come prodotto dotato di tossicità cronica per gli organismi acquatici, e di tossicità acuta legata a lesioni oculari, per il suo, ancora più tossico, coadiuvante (Eteralchil ammina etossilata); tant’è che la stessa azienda, nella scheda di sicurezza, anzichè dimostrare che il “Roundup“ (nome commerciale) non ha alcun effetto nocivo sulla salute e sull’ambiente,  informa che non garantisce alcunché circa la completezza e precisione delle informazioni fornite!
Il clorprifos [2] è invece un insetticida (appartenente agli organofosforici, sintetizzati originariamente come gas nervini ad uso bellico), che agisce sulla trasmissione nervosa, ma che, a dosi bassissime, tali da non esplicare il suddetto effetto, interferisce pesantemente con lo sviluppo cerebrale comportando deficit cognitivi e neuropsichici. Autorevoli ricercatori a livello internazionale anche di recente hanno fatto richiesta che tale sostanza sia totalmente bandita perché nessun livello di clorprifos può essere considerato cautelativo per lo sviluppo cerebrale infantile.

Ne consegue che i ricorrenti ritengono altresì violato il cd. Principio di Precauzione imposto dalla normativa comunitaria (Direttiva CE 2009/128; Reg. to CE 1107/2009), secondo cui l’industria dovrebbe dimostrare “che le sostanze o i prodotti fabbricati o immessi sul mercato non hanno alcun effetto nocivo sulla salute umana o degli animali o alcun impatto inaccettabile “, e per il quale nelle aree vulnerabili dovrebbe essere ridotto “il più possibile o, se del caso, eliminato il ricorso ai pesticidi”, dando “priorità all’obiettivo di proteggere la salute umana e animale e l’ambiente rispetto all’obiettivo di migliorare la produzione vegetale”.

Non solo: nel ricorso, si evidenzia anche la violazione dell'art. 94 , del D.L. n. 156/2006 (Testo Unico in materia ambientale), in base al quale si dovrebbe procedere - al fine di consentire un uso quanto più possibile mirato e ragionato di tali sostanze - alla  predisposizione di un piano di utilizzo a livello aziendale (come ad esempio è stato fatto nella regione Piemonte); mentre nella fattispecie, come illustrato al punto 6 del preambolo al decreto 30.07.2018 “al fine di semplificare le procedure per gli operatori agricoli e extragricoli, si è ritenuto opportuno elaborare un P.u.f.f…unico e valido in tutti i casi in cui gli stessi intendono utilizzare tali sostanze nelle aree di salvaguardia, senza la necessità di predisporre un piano a livello aziendale”.

Con il chè, si facilitano gli operatori, ma in pratica - oltre a violare la norma primaria - si consente un utilizzo indiscriminato dei prodotti ammessi, nelle cd. zone di salvaguardia tout court, per l'intero territorio regionale, senza modularlo a seconda del tipo di terreno e/o di coltura, nè delle tecniche agronomiche impiegate, né della specifica vulnerabilità zonale delle risorse idriche.

Nel ricorso, viene altresì eccepita la violazione della regolamentazione ministeriale volta alla eliminazione /riduzione di tali prodotti lungo le linee ferroviarie e sulle o lungo le strade; nonché la violazione/falsa applicazione del decreto 10.03.2015, in materia di tutela  dell’ambiente acquatico e dell’acqua potabile, allorché gli atti impugnati, invece di avere come obiettivo primario quello di “ridurre al minimo il rischio per le acque superficiali e sotterranee destinate al consumo umano”,  preoccupandosi di “evitare ulteriori aggravi amministrativi a carico delle aziende agricole”, pongono sostanzialmente sullo stesso piano le esigenze produttive e quelle di tutela della salute e dell’ambiente.
Ciò è tanto più grave, nell’ambito di una situazione già preoccupante come quella della regione Toscana, nelle cui acque superficiali e sotterranee sono stati rinvenuti pesticidi (ben 49 sostanze), rispettivamente nel 80,7%, e nel 46,8%, dei punti di prelievo; e altrettanto grave, lo è con riguardo alla situazione della piana pistoiese in cui la superficialità della falda e l’elevata permeabilità degli acquiferi favoriscono la penetrazione degli inquinanti e dove addirittura avviene che punti di prelievo di acqua potabile da falde profonde siano allocati all’interno di vivai!
Considerato che anche nel territorio Pistoiese (in base all’ultimo rapporto ISPRA del 2018:dati 2015 e 2016), i principali corpi idrici (torrente Ombrone, torrente Vincio di Montagnana, Torrente Stella, Torrente Brana) sono contaminati al di sopra degli standard di qualità, il fatto che l’attività vivaistica faccia largo uso di tali sostanze ( il cui utilizzo viene ad essere ulteriormente facilitato dal decreto impugnato ), è motivo di grande preoccupazione, essendo ragionevole supporre che i principi attivi rinvenuti (con conseguente compromissione della qualità delle acque sia superficiali che profonde), traggano origine in gran parte proprio dall’attività vivaistica, che è  di gran lunga la prevalente sul territorio.
Per tali ragioni, le Associazioni ed i Cittadini ricorrenti valutano di estrema gravità gli atti oggetto di impugnativa al TAR, in quanto non potranno che peggiorare la qualità delle acque destinate all’uso umano, con tutto ciò che ne consegue per la salute, in particolare per le frange più suscettibili, specie bambini, anziani e donne in gravidanza.

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