La
regione Toscana è tra le più coinvolte nello smaltimento della monnezza
nella Terra dei fuochi. Ma il sodalizio tra la criminalità organizzata e
ditte locali è antico e torna d’attualità dopo le parole del
procuratore nazionale antimafia Franco Roberti: “Qui i clan hanno
portato sostanze pericolose”
C’è un legame sporco tra la Toscana e il business dei rifiuti. La regione è una tra le più coinvolte nei traffici che fanno capolinea nella Terra dei fuochi o
in paesi stranieri. E nel recente passato, dal terreno di quasi tutte
le province, gli investigatori hanno dissotterrato materiali pericolosi
di ogni genere. La paura, però, è per il pattume che non è ancora emerso
e per la scia puzzolente che potrebbe emanare. Il sospetto è che possa
portare dritta agli affari della camorra.
Non siamo in Campania, i campi della Toscana non sono quelli tra le
province di Napoli e Caserta. Ogni paragone sarebbe una forzatura. Ma la
regione non è quel paradiso immune dalle infiltrazioni criminali che
per anni ha creduto di essere. L’allarme arriva dal procuratore nazionale antimafia Franco Roberti(leggi).
“Dopo aver smaltito al Sud per vent’anni i rifiuti tossici prodotti al
Nord, ora la camorra napoletana sta portando i rifiuti campani altrove,
in primis in Toscana ma anche in paesi come la Romania e la Cina”.
LA REGIONE HA LA COSCIENZA SPORCAGli
ultimi 12 anni raccontano una storia sozza che lega le aziende toscane e
i territori martoriati del napoletano e del casertano. I numeri li
riporta Legambiente Toscana nel suo rapporto “Le rotte toscane verso la Terra dei Fuochi“.
Dal 2002 a oggi 45 indagini per traffico organizzato di rifiuti hanno
coinvolto aziende toscane: il 20,5% sul totale delle inchieste concluse
per lo stesso delitto su tutto il territorio nazionale. I procedimenti
si sono tradotti in 92 ordinanze di custodia cautelare, 388 persone
denunciate, e 40 aziende e società toscane coinvolte. E dal rapporto
della Direzione nazionale antimafia emerge che in meno di tre anni (2010 al 31 dicembre 2012) sono state 15 le indagini su traffico organizzato di rifiuti presso la Dda di Firenze.
A spaventare, però, è soprattutto l’estendersi di una zona grigia viscida
e maleodorante. Ingrassata a colpi di mazzette che finirebbero nelle
tasche di amministratori locali, esponenti politici e funzionari
pubblici per “appalti e concessioni edilizie, varianti urbanistiche e
realizzazione di discariche di rifiuti”, scrive Legambiente. Il fermo
immagine dell’associazione, di Libera e di Avviso pubblico cristallizza
12 inchieste (dal 2010 al maggio dello scorso anno) per corruzione
ambientale in Toscana. Un numero che piazza la regione al quinto posto –
superata solo da Campania, Calabria e Sicilia – nella classifica
nazionale guidata dalla Lombardia.
Ma
sotto la pelle dei dati si nascondono le storie reali. Fatte di
accordi, pattume e soldi. Ancora oggi l’inchiesta principale rimane Eurot, nata nel febbraio 2011 con al centro la ditta Eurotess. Secondo l’indagine condotta dalla Dda di Firenze, l’azienda di Montemurlo (Prato) funge da cabina di regia per un traffico illecito di rifiuti costituiti da stracci. Milioni di tonnellate di indumenti partiti da Prato sono arrivati a Ercolano (Napoli) grazie alla collaborazione del clan Birra-Iacomino. Qui,
ufficialmente, vengono ripuliti e disinfettati, mentre in realtà sono
smaltiti senza essere sottoposti ad alcun trattamento, in totale
violazione delle norme sui rifiuti. L’operazione porta all’arresto di 17
persone nelle province di Firenze, Prato, Forlì-Cesena, Napoli, Caserta
e Cagliari. Per tutti l’accusa è traffico illecito di rifiuti. A
febbraio del 2012 arriva la condanna in primo grado (a 2 anni e 6 mesi
di reclusione), con rito abbreviato, per il titolare della ditta
Eurotess. Altri
6 imputati patteggiano pene da un anno a un anno e 9 mesi, undici
vengono rinviati a giudizio, uno assolto. A luglio 2013, arriva il
seguito. Nel mirino della Dda di Firenze entra la New Trade di Prato, una ditta impegnate nella riconversione Golden Lady. L’ipotesi è che sia stato messo in piedi un
traffico illecito di stracci e rifiuti plastici verso Cina e Tunisia.
Gli abiti, secondo gli investigatori, sono stati rivenduti senza
trattamenti igienico-sanitari in Africa e nei mercatini vintage
italiani. Finiscono indagati i fratelliNicola e Franco Cozzolino,
proprietari dell’azienda. Mentre scattano le manette per Vincenzo e
Ciro Ascione, padre e figlio, proprietari di un’altra società del
capoluogo.
LE PAROLE DI ROBERTI E LO SPETTRO DELLA CAMORRASecondo il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti sarebbe proprio
il cuore dell’industria tessile italiana ad essere finito nelle mire
della camorra. I rifiuti partiti dal Nord e sepolti nella Terra dei
fuochi, adesso sarebbero tornati indietro come un boomerang avvelenato.
Di più, alcuni sisarebbero fermati a Prato dove gli interessi dei clan si mischiano a quelli della criminalità cinese.
Nel dicembre scorso, le parole del numero uno dell’antimafia innescano
lo stupore dei deputati toscani del Partito democratico Antonello Giacomelli e Matteo Bifoni:
“Al di là di ogni valutazione sul mezzo scelto per divulgare tali
gravissime notizie, chiediamo al governo di riferire al più presto,
quindi già nella giornata di domani, alla Camera sulla vicenda”. Roberti
corregge il tiro, e dice di riferirsi a indagini già chiuse, resta il
fatto che il sodalizio tra la regione e la camorra è antico.
Risale a vent’anni fa. L’anno è il 1989. Ed è a Viareggio (Lucca),
ex Perla del Tirreno, che tra strette di mano e pacche sulle spalle si
saldano gli accordi tra i titolari delle ditte e i rappresentanti dei
Casalesi per trasformare i rifiuti in oro. Lo spaccato riemerge dalla
sentenza del Tribunale di Napoli del 1995 riassunta dagli atti
parlamentari del 5 febbraio 2013. Tra l’89 e il ’90 in Versilia tira una brutta aria: le discariche scarseggiano, si inizia a cercare siti fuori dalla regione. Ed è qui che si materializza Francesco Di Puorto,
secondo i magistrati, testa di ponte dei Casalesi. L’imprenditore,
residente in provincia di Lucca, “controllava tutti i rifiuti
provenienti dalla Toscana sui quali maturava un’imposta di 5 lire al
chilo destinato alla Campania, frutto di pregressi accordi con (Francesco) Bidognetti“. Interessati all’affare anche Luigi Caterino della Pool Ecologia,Ciardiello, un trasportatore, Gaetano Cerci (figura centrale del traffico) e Iovine, detto “o ninno” autorevole personaggio della zona, tutti coinvolti negli accordi di Viareggio.
E’ da questo momento che i camion iniziano a fare la spola tra la
Toscana e le province di Napoli e Caserta. Viene sversato di tutto:
rifiuti tossici e speciali, fanghi delle concerie di Santa Croce e gli
scarti delle cartiere. Immischiato nei traffici c’è anche Cipriano Chianese, boss del pattume, arrestato lo scorso dicembre dalla Dia di Napoli (leggi). Il pentito Carmine Schiavone,
ascoltato nel ’97 della commissione parlamentare sulle Ecomafie,
arricchisce la storia di particolari: ”Lassù. Io, ad esempio, avevo un
camion mio che caricava a Massa Carrara e a Santa Croce sull’Arno: un
190-38 turbo targato Caserta”. Il traffico era ben collaudato
“dall’avvocato Chianese tramite circoli culturali e amici. Faccio solo
un nome – conclude Schiavone – so che Gaetano Cerci stava molto bene con
un signore che si chiama Licio Gelli“.
Nonostante questo vecchio legame, ancora oggi come denuncia la Fondazione antimafia Antonino Caponnetto,
la Toscana non sembra rendersi conto di essere una potenziale terra di
conquista delle mafie. “Si assiste alla automertà – riflette il
presidente Salvatore Calleri -.
Ossia ad un fenomeno di cui ci si impone di non parlare, per paura di
toccare temi che possano danneggiare il buon nome della Toscana”. Poi
avverte: ”Si corre un rischio, che i timori a parlare di alcune
questioni, timori che in passato la nostra regione non aveva, facciano
arrivare in massa le organizzazioni mafiose più di quanto non siano già
presenti. Non parlare di mafia – conclude il rappresentante
dell’associazione fiorentina – aiuta la mafia, e non vorrei che stavolta
qualche politico finisca con farci qualche patto. Speriamo di no”.
LE DISCARICHE ABUSIVE SCOPERTE IN DIECI ANNIL’elenco dei siti imbottiti di “monnezza”
ritrovati è lungo, ma parziale. E al momento non riconducibile alla
criminalità organizzata. E’ il maggio dello scorso anno. La Guardia di
finanza di Firenze sequestra un impianto di smaltimento di rifiuti
urbani, speciali e tossici, e denuncia 17 persone per violazione sulla
normativa ambientale e ricettazione a Osmannoro (Sesto
Fiorentino). Vengono messi i sigilli a un’area di oltre 2.000 metri
quadri dove vengono scoperte circa 1.600 tonnellate di rifiuti di
materiale ferroso, anche gravemente inquinante e 15 automezzi pronti a
scaricare oltre sette tonnellate di rifiuti e rottami metallici. Sempre
gli uomini delle Fiamme gialle, nel 2012, sequestrano nella campagna di Gavorrano (Grosseto)
una discarica abusiva a cielo aperto di oltre 13mila metri quadrati,
con più di 200 tonnellate di rifiuti speciali e pericolosi.
A marzo del 2011, i carabinieri del Noe scoprono e sequestrano una discarica a Vada, una
frazione di Rosignano Marittimo (Livorno) contente ogni genere di
schifezza. E c’è un filo nero che potrebbe legare quella discarica alla
Lombardia. A
gennaio 2014, i carabinieri del Nucleo ecologico guidati dal colonnello
Sergio De Caprio (Capitano Ultimo) riannodano la matassa e arrestano
sei persone nell’ambito dell’inchiesta sull’ex Sisas di Pioltello,
Milano (leggi).
Grazie a un cambio di codice – secondo gli investigatori – tonnellate
di rifiuti pericolosi si sono trasformate in materiali puliti, pronti
per essere smaltiti in discariche italiane e tedesche. Una di queste, si
sospetta, è quella di Vada.
La paura che il territorio toscano sia costellato da discariche abusive arriva anche in Parlamento. Il 23 gennaio scorso Samuele Segoni, deputato aretino del Movimento Cinque Stelle, membro della commissione ambiente parla di “una piccola Terra dei fuochi nel triangolo delle cave di Quarata“,
in provincia di Arezzo. Un allarme su cui la procura del capoluogo
toscano vuole vedere chiaro. Recentemente è stato aperto un fascicolo
per abbandono di rifiuti pericolosi. Per
il momento una ex cava, lungo lo stradone di Campoluci, è stata
sequestra, per un nuovo decreto ispettivo emesso dalla procura. Numerose
ruspe e agenti del Corpo Forestale dello Stato hanno ispezionato la
zona per capire se ci sono fonti di inquinamento. Non si contano le
denunce presentate in questi anni dal Comitato di Quarata al ministero
dell’Ambiente, all’Arpat e al Comune di Arezzo.
Correndo
indietro nel tempo si arriva al 2004. La guardia forestale trova 13mila
tonnellate di pietrisco mescolato a rifiuti in un cantiere per il
raddoppio dell’autostrada Siena-Bettolle.
Materiale pericoloso che, invece di essere distrutto, doveva essere
utilizzato per il manto stradale. Gli esami dell’Arpat di Siena
individuano la presenza di sostanze altamente inquinanti (cromo, cromato
di zinco, cloruri, solfati, nichel) in concentrazioni pericolose sia
per le falde acquifere della zona, sia per il terreno in generale. Una
scoperta che dopo 11 mesi porta ai domiciliari tre persone che
riciclavano rifiuti pericolosi per rivenderli come sicuri anche alle
ditte che stavano lavorando per la realizzazione della Siena-Bettolle.
Ma
i terreni della Toscana potrebbero non avere ancora rigettato dalle
proprie viscere tutto quello che nascondono. A novembre 2013 il cronista
e il direttore del quotidiano online del senesePrimapagina, David Busato e Marco Lorenzoni,
analizzano i dati Arpat della zona di Chiusi. Vengono registrate
percentuali di Nichel cinque volte superiori alla norma. Nessuno, per
ora, ha cercato di capire perché.
La Dia nazionale ha invece capito una cosa: ”La linea Tav (di Firenze, ndr)
continua ad attirare gli appetiti della camorra”. Si legge nella
relazione del primo semestre 2013. E’ il gennaio di un anno fa e i
carabinieri del Ros effettuano controlli nei lavori. Hanno un sospetto.
Durante la realizzazione dell’opera c’è stato uno smaltimento illegale
di fanghi che ha scatenato gli interessi di una ditta: su cui sembra
aleggiare lo stesso puzzo dei Casalesi.
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