La Regione punta sulla raccolta
differenziata. Ma così i 9 impianti previsti diventano troppi
di Marzio Fatucchi
di Marzio Fatucchi
In Toscana è scoppiata la
guerra degli inceneritori. È una lotta sotterranea, fatta di timori, mezze
battute, incontri riservati. In uno di questi, in Consiglio regionale, di fronte
al nuovo piano dei rifiuti che la Regione sta elaborando, c'è chi è sbottato:
«Salta tutto, salta tutto». Perché le previsioni di rifiuti da bruciare negli
impianti fatte solo qualche mese fa nelle tre zone in cui è divisa la Toscana, i
tre Ambiti ottimali (centro, sud e costa) sono molto maggiori di quelle del
nuovo Piano dei rifiuti che la Regione vuole attuare. Insomma, troppi
inceneritori previsti rispetto ai rifiuti che potrebbero essere bruciati.
E le
Province potrebbero essere chiamate a riveder i loro piani, a decidere quali
aprire e quali escludere.
Il dibattito sui rifiuti viene visto come
contrapposizione tra «ambientalisti» e «industrialisti». Tra chi non vuole gli
impianti di incenerimento e chi invece li vede come la soluzione del problema.
Tra lo scontro politico e le campagne come quella «rifiuti zero», che teorizza
la possibilità di farne a meno, resta un problema: qualunque scelta si prenda, i
rifiuti sono una grana per l'ambiente, ma va risolta con un ciclo industriale,
che si basa sui numeri. E, in Toscana, ora i numeri
ballano.
La scelta «ufficiale» finora
presentata dalla Regione era quella di arrivare a 60-20-20 entro il decennio.
Cioè 60 per cento di raccolta differenziata [ndr. che strano questo dato visto che avremmo dovuto arrivare almeno al 65% già a dicembre 2012, la Toscana confermerebbe dunque di VOLER non rispettare le leggi!?], 20 di incenerimento, 20 in
discarica.
Nelle scorse settimane sono cominciate a trapelare anche ipotesi più
alte di differenziata, con livelli di incenerimento e discarica inferiori al 20
per cento, fino al 15. Non è utopico: alcuni territori europei riescono ad
arrivarci e nelle sperimentazioni, anche in Toscana ci sono esempi (piccoli
Comuni o zone limitate) in cui la raccolta differenziata si è spinta anche
all'80 per cento. Non è nè facile nè veloce arrivarci. Ma l'obiettivo resta. E
fa sballare i conti.
Se ne sono accorte le aziende dei rifiuti, se ne sono accorti i consiglieri regionali, e pure i sindaci [ndr. siamo sicuri che se ne siano accorti proprio tutti?]. La scelta del presidente toscano Enrico Rossi di puntare a questi alti livelli di differenziata non è solo un obiettivo di livello europeo: è anche un modo per dare una risposta ai movimenti che hanno lanciato l'opzione «rifiuti zero». È, prima di tutto, una scelta politica. Ma potrebbe cambiare la carte in tavola, con accordi già presi, piani di ambito approvati, finanziamenti già chiesti per gli impianti.
Se ne sono accorte le aziende dei rifiuti, se ne sono accorti i consiglieri regionali, e pure i sindaci [ndr. siamo sicuri che se ne siano accorti proprio tutti?]. La scelta del presidente toscano Enrico Rossi di puntare a questi alti livelli di differenziata non è solo un obiettivo di livello europeo: è anche un modo per dare una risposta ai movimenti che hanno lanciato l'opzione «rifiuti zero». È, prima di tutto, una scelta politica. Ma potrebbe cambiare la carte in tavola, con accordi già presi, piani di ambito approvati, finanziamenti già chiesti per gli impianti.
Se la produzione di rifiuti
urbani (in calo non solo per la crisi) restasse quella attuale, cioè 2.400.000
tonnellate l'anno, e l'obiettivo di incenerimento fosse davvero quello minimo,
il 15 per cento, agli impianti di termovalorizzazione ne arriverebbero 360 mila.
Ma gli impianti previsti dagli attuali piani dei rifiuti dei tre Ato (costa, sud
e centro) di tutta la Toscana arrivano a 830 mila: quasi due volte e mezzo in
più del necessario. Quelli del solo Ato centro (Firenze, Prato e Pistoia)
potrebbero bruciarne quasi 300 mila tonnellate l'anno. Firenze, ora l'impianto
di Montale è chiuso, ne dovrebbe bruciare 80 mila.
Selvapiana, alla Rufina,
dovrebbe riaprire ed ha già l'Aia e la Via (due autorizzazioni ambientali): ma è
piccolo, da 60 mila tonnellate l'anno. Case Passerini (136 mila) deve ancora
ottenere l'Aia. Ad Arezzo vogliono quasi raddoppiare quello di San Zeno (75 mila
tonnellate l'anno), a Livorno quello di Picchianti dovrebbe passare da 60 a 120
mila tonnellate. Ce ne sono alcuni, come quello di Castelnuovo Garfagnana, che
dovrebbero riaprire. Altri dovrebbero essere solo dedicati al Cdr (combustibile
derivato da rifiuti). Ma 9 impianti in Toscana sono troppi, oltre ad essere in
molti casi piccoli e quindi diseconomici: lo hanno capito tutti i diretti
interessati che qualcuno dovrà farsi da parte. Mentre c'è chi ricorda che nel
Nord Europa, ormai, si va a caccia di rifiuti da importare per bruciarli nei
loro impianti, che non ricevono più «carburante» interno grazie all'aumento
della raccolta differenziata. Così come, con un livello così alto di
differenziata, viene da domandarsi dove sarà possibile riciclare il materiale,
dato che non ci sono impianti (e a volte mercato) per tali quantità di carta,
vetro, alluminio. Per il momento, a parte la lettera aperta del presidente del
Cispel Alfredo De Girolamo, non ci sono dichiarazioni ufficiali. Anche il
sindaco di Livorno Alessandro Cosimi si trincera dietro un «no comment». In
attesa dei futuri incontri con la Regione.
Marzio Fatucchi
@marziofatucchi
NB. evidenziature, grassetto e sottolineature sono nostre
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