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lunedì 14 novembre 2016

Inceneritori, i casi di stop per mercurio: lacune in misura emissioni e non c’è blocco dei rifiuti a rischio

Da Torino a Poggibonsi, i casi rivelano un problema che potrebbe avere dimensioni molto grandi ma ad oggi spesso non misurato, e quindi invisibile: la maggior parte dei 40 termovalorizzatori italiani non controlla in tempo reale le emissioni di mercurio, come invece accade nella struttura piemontese, e in nessun impianto esistono sistemi per bloccare in entrata la monnezza urbana in cui ci siano rifiuti contenenti il metallo altamente tossico.

I “biscotti al mercurio”, di cui qualcuno a Torino ha parlato ironicamente dopo il semi stop all’inceneritore del Gerbido il 18 ottobre scorso, rischiano di diventare una specialità dolciaria non solo sabauda. L’impianto, che ha dovuto rallentare a causa di emissioni di mercurio anomale, non sembra proprio il biscottificio innocuo a cui il neopresidente della società che lo gestisce (la Trm, gruppo Iren) aveva paragonato questo tipo di stabilimenti. E ora, il caso torinese sembra solo la punta dell’iceberg. L’indizio di un problema, quello delle emissioni di mercurio dei termovalorizzatori, tra l’altro già emerso anche ad aprile 2015 all’inceneritore di Poggibonsi, nel senese, che potrebbe avere dimensioni molto grandi ma ad oggi spesso non misurato, e quindi invisibile: proprio perché la maggior parte dei 40 inceneritori italiani non controlla in tempo reale le emissioni di mercurio, come invece accade a Torino, e in nessun impianto esistono sistemi per bloccare in entrata la monnezza urbana in cui ci siano rifiuti contenenti questo metallo altamente tossico.

Bastano pochi etti
“Alcuni etti possono essere sufficienti a determinare il problema”, spiegano dall’Arpa Piemonte. Al Gerbido nell’ultimo anno, dice l’ad di Iren Ambiente Roberto Paterlini, “nei catalizzatori se ne è accumulato un chilo”. Potrebbe essere arrivato con rifiuti speciali di aziende che li hanno buttati illegalmente nei cassonetti urbani, dove smaltirli non costa nulla. Ma il mercurio è contenuto anche nelle batterie e nelle pile a bottone da orologi, che l’Europa ha messo fuori legge dalla fine del 2015, nelle lampade a fluorescenza e nei neon. Tutti oggetti che non si dovrebbero buttare nella pattumiera, ma tra scarsa comunicazione ai cittadini, centri di raccolta comunali poco capillari e difficili da raggiungere, e un po’ di sana pigrizia, la frittata è fatta. “Se permangono i cassonetti stradali e non si procede verso un cambio di direzione rispetto alla situazione attuale è palese che nell’indifferenziato ci può finire di tutto e questi purtroppo sono i risultati”, ha scritto su Facebook l’assessore all’Ambiente di Parma Gabriele Folli. Nella sua città, negli ultimi anni l’inevitabile costruzione dell’inceneritore è però andata  di pari passo con l’introduzione del porta a porta. “Da noi la raccolta differenziata è al 75% e i piccoli rifiuti elettrici ed elettronici vengono raccolti anche nelle scuole. Il rischio che si verifichino situazioni come quella di Torino è ovviamente più alta dove si raccoglie con i cassonetti, perché è più difficile controllare cosa ci va a finire”, aggiunge Folli. A Torino, peraltro, fa notare Claudio Cavallari dell’associazione Pro Natura, “ci sono solo sette ecocentri e la differenziata è ferma al 42% da sei anni. La logica è sempre stata: più indifferenziato, più affari. E poi manca la corretta informazione su come conferire rifiuti come batterie e neon: non è come fare la pubblicità dei formaggini, serve informazione continua”.
A queste condizioni, è evidente, dice la direttrice del dipartimento A queste condizioni, è evidente, dice la direttrice del dipartimento torinese di Arpa Antonella Pannocchia, che una situazione come quella dell’inceneritore del Gerbido “potrebbe verificarsi anche altrove”. Anche perché oggi, aggiunge Federico Schivo del consorzio per la raccolta e l’avvio al riciclo di lampade e neon Ecolamp, “in Italia viene recuperata una lampadina su 5. Nei Paesi più virtuosi si arriva a 2 su 5. Le lampade rimangono un rifiuto complicato: si rompono facilmente, sono difficili da intercettare e tantissime persone continuano a buttarle nelle campane del vetro. Manca l’informazione, l’abitudine al giusto conferimento è ancora tutta da costruire e i centri di raccolta sono poco capillari”.
La strada in discesa verso il forno
Se si sbaglia bidoncino e il neon o la batteria finiscono nell’immondizia indifferenziata, poi la strada che li porta in discarica o alla combustione è tutta in discesa. Nei termovalorizzatori, infatti, ad oggi non ci sono sistemi per controllare se nel carico in entrata c’è mercurio ed evitare così di bruciarlo. “A Torino si verifica solo la radioattività, tutto il resto entra. Sarebbero necessari controlli ulteriori”, denuncia Cavallari. E una volta che il mercurio con il calore è passato allo stato gassoso, non è detto che ci si accorga della sua esistenza. Solo se nel camino sono presenti sensori ad hoc che lo rilevano. La legge prevede che tutti gli inceneritori debbano avere un sistema per il rilevamento in continuo delle emissioni (Sme), ma il metallo non è citato espressamente tra le sostanze da controllare in tempo reale in via obbligatoria. E gli Sme, continua Pannocchia, “vengono introdotti al momento del rinnovo delle autorizzazioni degli impianti, non prima”. Il risultato è che molti impianti oggi non monitorano l’inquinante in tempo reale, ma solo alcune volte all’anno. La Lombardia è la regione con la più alta concentrazione di inceneritori: sui 13 impianti ad oggi attivi, spiegano dall’Arpa regionale, “tutti hanno un sistema di monitoraggio in continuo delle emissioni, ma nessuno include al momento un misuratore in continuo di mercurio”. E meno lo misuri, più è probabile che ti sfuggano i valori anomali, cioè sopra la soglia dei 50 microgrammi per metro cubo, che in un impianto come Torino sono stati rilevati su base di mezz’ora. “Da noi il problema è emerso perché, grazie anche a sistemi di controllo in tempo reale voluti fortemente anche dai cittadini, monitoriamo questo metallo. Nell’autorizzazione del Gerbido è previsto che quando si sfora la soglia per un’ora, l’alimentazione dell’impianto deve essere sospesa per garanzia”, dice ancora Pannocchia.
Soluzioni ancora da trovare
In passato, si legge in un documento di Arpa Piemonte, nelle emissioni dell’impianto c’erano già stati superamenti della «soglia di attenzione» per il mercurio: nel 2014, a partire dalla primavera, all’inizio del 2015 e poi ancora alla fine dell’anno scorso, nonostante interventi messi in campo che avevano evitato il problema per qualche mese, e poi di nuovo nel 2016, fino alla metà di ottobre scorso. Nel 2015 Arpa ha rilevato 414 mezz’ore di superamento, nel periodo giugno-settembre 2016, 485. Sono percentuali piccolissime sul totale del tempo lavorato, lo 0,9% nel primo caso e l’1,4% nel secondo, registrate a livello del camino, a oltre 100 metri di altezza. L’Arpa fa però notare che in “una decina di episodi di durata inferiore alle 5 ore” anche le centraline della qualità dell’aria, poste al livello dei nostri polmoni, hanno rilevato sforamenti, “che hanno coinciso con valori anomali al camino dell’impianto”. E mentre dall’Agenzia da una parte sottolineano che “stiamo parlando di un problema da risolvere e non di una emergenza sanitaria”, dall’altra sono fermi nel chiedere a Trm “un percorso stringente volto a risolvere il problema”.
Con il rallentamento della funzionalità dell’inceneritore, assicura Paterlini, “i livelli di mercurio si stanno attenuando”, ma la strategia deve ancora prendere forma. Sicuramente ci sarà una campagna di comunicazione rivolta ai cittadini in collaborazione con la società torinese di igiene urbana Amiat per informarli sul corretto conferimento di batterie, pile e lampadine. E si stanno facendo sia controlli a campione sui carichi dei camion dell’indifferenziato per cercare tracce di mercurio, sia un censimento delle aziende che lo trattano, ma “è come cercare un ago in un pagliaio”. Al Gerbido, intanto, “si sta lavorando con due imprese che fanno lavaggi dei catalizzatori dove si era accumulato il mercurio per riportarlo in forma liquida e cercare così di smaltirlo. Sapremo nei prossimi giorni se i lavaggi sono efficaci. Potrebbe essere una soluzione da adottare periodicamente fino a che non si è trovata la causa. Un’altra ipotesi aperta è la sostituzione dei catalizzatori e la creazione di una quarta linea di filtraggio. Nel frattempo stiamo anche sovradosando bicarbonato e carbone attivo, reagenti che hanno lo scopo di trattenere il più possibile il mercurio”. Ma su questo metallo, ammette l’ad di Iren Ambiente, “anche in base ai contatti che abbiamo preso con gli altri impianti, non ci sono particolari soluzioni, stiamo facendo delle sperimentazioni”.

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