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domenica 30 agosto 2015

Trivellazioni in mare: Verso il referendum sostenuto dalle regioni




Diritto. Servono le delibere di cinque consigli per attivare la procedura. Sperare in un decreto legge a questo punto è solo utopia.

Cin­que anni fa, a seguito del disa­stro petro­li­fero occorso nel Golfo del Mes­sico, il governo Ber­lu­sconi decise di vie­tare la ricerca e l’estrazione di petro­lio nei mari ita­liani entro le cin­que miglia marine. Que­sta pre­vi­sione non era rivolta solo al futuro, ma — per così dire — anche al pas­sato. Nel senso che il divieto avrebbe tro­vato appli­ca­zione anche ai pro­ce­di­menti in corso: a pro­ce­di­menti avviati, ma non ancora con­clusi con il rila­scio di un per­messo di ricerca o di una con­ces­sione per l’estrazione.
Due anni dopo, il governo Monti inter­ve­niva nuo­va­mente in mate­ria con un decreto-legge (il «decreto svi­luppo»), sta­bi­lendo che quel divieto — con­cer­nente ora sia il petro­lio sia il gas — fosse esteso ovun­que alle dodici miglia marine. Con una pre­ci­sa­zione, però. Il nuovo divieto avrebbe riguar­dato solo il futuro e non il pas­sato. Nel senso che non avrebbe tro­vato più appli­ca­zione ai pro­ce­di­menti in corso. L’obiettivo del governo Monti era asso­lu­ta­mente chiaro: occor­reva far ripar­tire i pro­ce­di­menti bloc­cati dal governo Ber­lu­sconi. Ven­ti­cin­que in tutto, tra i quali quello su «Ombrina mare» in Abruzzo e quello su «Vega B» nel Canale di Sici­lia. Ai quali, nel pros­simo futuro, si aggiun­ge­ranno quelli rela­tivi alle atti­vità di ricerca che ha in serbo la società Spec­trum Geo: un pro­getto enorme desti­nato ad esplo­rare i fon­dali del mare Adria­tico per 30 mila chi­lo­me­tri qua­drati e che, ter­mi­nata la fase della ricerca, verrà ulte­rior­mente spac­chet­tato in nume­rosi pro­getti di estra­zione.
Nel 2012, il Coor­di­na­mento nazio­nale No Triv scrisse ai par­la­men­tari della Repub­blica, chie­dendo loro di non con­ver­tire in legge il «decreto svi­luppo». Inu­til­mente. Caduto il governo Monti e aper­tasi la nuova legi­sla­tura, la mag­gior parte delle forze poli­ti­che pre­senti in par­la­mento decise, allora, di pre­sen­tare un pro­getto di legge di modi­fica di quel decreto. Primo fra tutti il Pd. Ma, ancora una volta, inu­til­mente.
Le Com­mis­sioni ambiente di Camera e Senato vol­lero, quindi, impe­gnare poli­ti­ca­mente il governo a rive­dere la posi­zione dello Stato in fatto di estra­zioni petro­li­fere. Per l’ennesima volta, inu­til­mente. In tutta rispo­sta, di lì a poco il governo Renzi avrebbe adot­tato il decreto «Sblocca Ita­lia». Più chiaro di così.
Ora, è pro­prio in virtù dello «Sblocca Ita­lia» che la que­stione si è fatta più spi­nosa, giac­ché con tale decreto il governo ha sta­bi­lito che, su richie­sta delle società petro­li­fere (e lo hanno effet­ti­va­mente richie­sto), il mini­stero possa con­ver­tire i pro­ce­di­menti in corso nei nuovi super rapidi pro­ce­di­menti pre­vi­sti dallo «Sblocca Ita­lia»: pro­ce­di­menti, cioè, desti­nati a chiu­dersi entro 180 giorni con il rila­scio del «titolo con­ces­so­rio unico», che legit­ti­merà i con­ces­sio­nari a cer­care ed estrarre idro­car­buri sulla base di un unico titolo.
Di fronte al per­du­rare di que­sta situa­zione — che negli ultimi mesi ha cono­sciuto una incre­di­bile acce­le­ra­zione dei pro­ce­di­menti in corso e l’adozione di nume­rosi decreti di com­pa­ti­bi­lità ambien­tale fina­liz­zati all’ottenimento dei titoli di ricerca e di estra­zione del petro­lio entro le acque ter­ri­to­riali — l’alternativa è ormai secca.
O si accetta pas­si­va­mente que­sto stato di cose o si decide di rove­sciare rapi­da­mente la situa­zione con gli unici stru­menti che l’ordinamento giu­ri­dico mette a dispo­si­zione: un decreto-legge che vieti la con­clu­sione dei pro­ce­di­menti in corso (ma qui entre­remmo nel campo della fan­ta­scienza) oppure un refe­ren­dum abro­ga­tivo dell’articolo 35 del decreto svi­luppo, la cui richie­sta di indi­zione deve essere depo­si­tata entro il pros­simo 30 set­tem­bre, in tempo utile per­ché si voti prima che i pro­ce­di­menti giun­gano a con­clu­sione. Ter­tium non datur.
È que­sto il motivo per cui il movi­mento «Pos­si­bile» ha deciso di acco­gliere, tra gli otto que­siti refe­ren­dari già depo­si­tati in Cas­sa­zione, anche quello sul decreto svi­luppo. Ed è per que­sta stessa ragione che il 6 luglio scorso il Coor­di­na­mento Nazio­nale No Triv e l’associazione A Sud hanno rite­nuto di dover inviare una for­male let­tera ai Con­si­gli regio­nali, affin­ché prov­ve­dano a deli­be­rare (e suc­ces­si­va­mente a depo­si­tare) una richie­sta refe­ren­da­ria su tale decreto entro il 30 set­tem­bre 2015 (sono suf­fi­cienti cin­que deli­bere regio­nali). Una richie­sta, si badi, che non è rivolta a que­sto o quel par­tito poli­tico, ma che è indi­riz­zata alle isti­tu­zioni ter­ri­to­riali, dove sie­dono pres­so­ché tutte le forze poli­ti­che ita­liane. Certo, si tratta di una strada dif­fi­cile da per­cor­rere, ma dif­fi­cile non vuol dire impos­si­bile. E in fondo sarebbe anche giu­sto così: sarebbe giu­sto che siano i cit­ta­dini a deci­dere se occorra defi­ni­ti­va­mente ras­se­gnarsi o se, al con­tra­rio, sia giunta l’ora di asse­gnare ai nostri mari un destino diverso.

(*) costituzionalista

FONTE ARTICOLO:  http://ilmanifesto.info/verso-il-referendum-sostenuto-dalle-regioni/ 

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