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martedì 14 luglio 2015

La nuova Cassa Depositi e Prestiti dell'era Renzi: dalla padella alla brace

Siamo lieti di diffondere questo testo che Antonio Tricarico dell'Associazione Re Common ha scritto per LCI
E' la somma di tanti cambiamenti come questo che porta a situazioni simili alla Grecia: non abbassiamo la guardia e soprattutto pensiamo ad una Cdp con una mission che torni a privilegiare la comunità e i territori! 

Alla fine anche la Cassa Depositi e Prestiti (Cdp), la vera cassaforte dell'Italia, non ha resistito al rottamatore e così i suoi vertici sono saltati. L'eterno Franco Bassanini, uomo bipartisan ed artefice dell'espansione della Cdp nell'ultimo decennio, insieme al banchiere Gorno Tempini, hanno dovuto lasciare la guida dell'istituto di via Goito, ancora oggi per più dell'80% in mano pubblica. Nata per finanziare come banca pubblica le amministrazioni dello Stato e gli enti locali a condizioni fuori mercato, dopo la trasformazione in SpA e l'entrata delle fondazioni bancarie nel 2003 la Cdp, anche grazie alla crisi economica, ha spiccato il volo dimenticando la sua missione originaria.

Il risparmio postale garantito dallo Stato, che la finanzia per la gran parte, ha toccato quota 250 miliardi di euro. E allora la gallina dalle uova d'oro si è concentrata a distribuire dividendi allo Stato ed alle Fondazioni bancarie e sempre meno a finanziare gli enti locali, comunque stretti nella morsa del patto di stabilità ‬interno e impossibilitati a prendere in debito nuovi mutui a tassi quasi di mercato, anche quando avevano i conti in ordine.

La Cdp di Bassanini si é ‬lanciata nel finanziamento delle banche per prestare al privato, nelle partecipazioni azionarie in grandi aziende per difendere la loro presunta italianità e nel finanziamento di mercato delle grandi opere, nonché nella gestione delle grandi reti italiane (gas ed elettricit‬à). Per ultimo in una logica di mega holding la Cdp ha anche rilevato la SACE e la Simest,  ossia l'assicuratore e il prestatore pubblico alle imprese per la loro internazionalizzazione.

Il sistema Bassanini non ha retto ai cambiamenti imposti dall'era Renzi. Il casus belli è stata la banda larga e la partita delle reti di comunicazione. Dopo aver sbandato sull'Enel, il governo è tornato a scommettere su Telecom e così la Metroweb è finita sotto pressione. Le fondazioni hanno rincarato la dose battendo cassa e chiedendo più dividendi pur di dare il via libera al premier. Alla fine Bassanini non ha che potuto fare un passo indietro, accettando di diventare consigliere tuttologo di Renzi a Palazzo Chigi e spianando la strada al futuro. Ossia la grande finanza internazionale che finalmente riesce a sedere in Cdp promettendo dividendi da Re Mida a tutti i soci. Claudio Costamagna, ex Goldman Sachs e consigliere di Romano Prodi sulle privatizzazioni, nonché Presidente di Salini-Impregilo, sarà così il nuovo presidente della Cdp. In pole position per la posizione di amministratore delegato c'è Andrea Guerra, che guida la BNP Paribas in Italia.

Largo ai giovani globalizzatori allora, che probabilmente metteranno il piede sull'acceleratore della finanziarizzazione della Cdp, rendendola ancor più un veicolo per l'entrata dei mercati di capitale nell'economia italiana. Ed i comuni così a secco di risorse per gli investimenti pubblici? Finché la morsa del debito li bloccherà, i soldi degli ignari risparmiatori postali fluiranno sempre più alle banche che foraggeranno presunti investimenti privati per la crescita e l'interesse della nazione. Alla fine è probabile che i soldi per la banda larga arriveranno, ma anche quelli per la “banca larga”.

Peccato che i soldi sono nostri e che ancora una volta il risparmio dei territori spiccherà il volo per finanziare lo sviluppo globale, che i territori e le comunità locali annienta. Così con i nostri soldi finanzieremo nuove privatizzazioni contro i nostri interessi e gli extra profitti delle aziende che scommettono sui mercati esteri. Dalla padella consociativa siamo passati alla brace della grande finanza.

Alleghiamo alcune proposte operative (vedi allegato) per far tornare nuovamente la Cdp alla sua funzione di finanziatore pubblico a favore della comunità. Le proposte sono tratte dal libro di Luca Martinelli e Antonio Tricarico - La posta in gioco - Altreconomia edizioni - 5 euro  visibile qui http://www.altreconomia.it/site/ec_articolo_dettaglio.php?intId=239

* (Antonio Tricarico è responsabile del programma "Nuova finanza pubblica" dell'associazione Re:Common (www.recommon.org) Tra i promotori del "Forum per una nuova finanza pubblica".

fonte articolo: http://www.circolovegetarianocalcata.it/2015/07/11/cassa-depositi-e-prestiti-il-rottamatore-colpisce-ancora/

Alcune proposte tratte dal libro "La posta in gioco" per approfondire il tema.
Facciamo cassa noi questa volta!

La Cassa depositi e prestiti è stata creata per legge, sin da prima dell'unità d'Italia. E per legge si può facilmente cambiare. Effettivamente se guardiamo alla sua ultima legge istitutiva come società per azioni con forte partecipazione pubblica – parte della legge 326 del 2003 – non si tratta di un testo lunghissimo.

Il legislatore, se volesse, potrebbe intervenire facilmente quindi, riformandola o trasformandola interamente.

Come riprendersi la Cassa

In primis è necessario escludere la presenza proprietaria delle fondazioni bancarie e rendere nuovamente la Cdp un ente di diritto pubblico e non una SpA di diritto privato. Due strade sono possibili per raggiungere questo obiettivo. Creare per legge una nuova “Cdp dei territori e dei beni comuni” che controlli interamente la gestione separata del risparmio postale garantita dallo Stato, togliendo questa funzione alla Cdp esistente oggi. Questo passaggio sarebbe un'operazione legislativa a costo zero, che richiederebbe solamente di stipulare una nuova convenzione tra Poste Italiane e la nuova “Cdp beni comuni” al fine di subentrare nella gestione della raccolta del risparmio postale alla Cdp esistente. Una convenzione che oggi frutta a Poste Italiane una commissione di più di mezzo miliardo di euro l'anno.

Allo stesso tempo si lascerebbe alla Cdp esistente nel suo ramo di gestione ordinaria non coperta dalla garanzia dello Stato, e con ancora il 20% delle fondazioni bancarie nella proprietà, le altre funzioni di banca di investimenti create nell'ultima decade, quali le partecipazioni ai fondi strategico e sulle infrastrutture, ed il controllo di altre società, come Fintecna, la SACE e la Simest, che sostengono il credito all'esportazione e l'internazionalizzazione delle imprese italiane.

Un capitolo specifico che merita attenzione sono però le reti, o per meglio dire il controllo tramite Cdp delle società che gestiscono in Italia la rete elettrica (Terna), del gas (Snam) ed in prospettiva della telefonia (rete Telecom) ed eventualmente un giorno anche delle autostrade (oggi in mano ad Atlantia). Sarebbe necessario che nello scorporo prefigurato la nuova Cdp dei territori e dei beni comuni si prenda in carico il controllo delle società che gestiscono le reti per indirizzarne gli investimenti e la gestione operativa stessa.

Al contrario di uno scorporo, altra strada percorribile potrebbe essere, invece, quella di riacquistare il 20 per cento di quote dalle Fondazioni bancarie, per un valore pari a 3,3 miliardi di euro secondo le ultime stime effettuate. In questo caso tutte le funzioni attuali rimarrebbero in una Cdp ripubblicizzata al 100 per cento.

In entrambi i casi comunque il legislatore dovrebbe intervenire per quel che concerne la definizione del nuovo ente di diritto pubblico. Ciò risulta fondamentale, poiché è proprio il non essere più società per azioni che emanciperebbe una rinnovata Cassa dalla logica della generazione di profitti ad ogni costo. In questo modo i mutui potrebbero tornare ad essere concessi a tassi vantaggiosi e fuori mercato, rendendo di nuovo la Cassa un soggetto che agisce proprio dove il mercato finanziario si ferma per le sue logiche intrinseche di estrazione di valore a tutti costi dai soggetti a cui presta.

A tal riguardo si aggiunga che è auspicabile che il legislatore si batta affinché una nuova Cdp ente di diritto pubblico non rientri nel perimetro del Patto di Stabilità e dei suoi parametri mortali. E' vero che oggi un'istituzione come la Cdp ha un debito irrisorio e non genera perdite, quindi sarebbe in linea con quanto richiesto dal Patto. In ogni caso tale scelta sarebbe un contro-senso poiché un soggetto pubblico che gestisce ricchezza privata e non dello Stato verrebbe ingabbiato dallo Stato stesso dentro i suoi parametri di stabilità, in nome del controllo dell'aumento del suo debito, riducendo così potenzialmente la capacità operativa della Cassa. Si noti al riguardo che gli omologhi della Cdp in Francia (Caisse de Depots e Consignations - CDC) e Germania (Kredit Anstalt fuer WiederAufbau - KfW) sono entrambi fuori dai conteggi del patto di stabilità. Per la serie anche la ferrea Merkel in Germania è ben poco rigida quando si tratta di finanziare i propri investimenti pubblici.

Parimenti è cruciale che le Poste Italiane rimangano in mano pubblica, nonostante vi siano numerose spinte da più parti affinché queste siano spezzettate nei vari business postale, di banca ed assicurativo e quindi privatizzate. Sarebbe surreale che cacciassimo le fondazioni dalla porta e queste o altri attori finanziari privati rientrassero dalla finestra nella funzione di raccolta del risparmio.

La proprietà ed il diritto pubblici però non bastano
Sarebbe limitativo pensare che la semplice esclusione delle Fondazioni bancarie dal controllo della Cassa riporterebbe questa sulla strada del sostegno al funzionamento dell'amministrazione pubblica, ai suoi investimenti di lungo termine che non interessano al mercato, e alla trasformazione socio-ecologica di cui la nostra società ha urgentemente bisogno. Oggi il problema viene anche dallo Stato, dalla logica “privatistica” che muove parimenti il settore pubblico, anche quando lo Stato opera con le sue proprie istituzioni. Il Tesoro pensa alla Cdp – così come altre grandi società multinazionali partecipate dal pubblico, quali Eni ed Enel – come uno strumento per fare cassa nei momenti di difficoltà tramite i lauti dividendi distribuiti in una logica ragionieristica e puramente finanziaria imparata dai mercati privati di capitale. Questa ossessione dell'istituzione pubblica per il profitto al fine di permettere la sua stessa sopravvivenza finanziaria trasforma inevitabilmente l'istituzione e le sue finalità originarie e fa passare in secondo piano le priorità della collettività sui territori che il settore pubblico dovrebbe vigorosamente perseguire.

Per sgombrare il campo da equivoci, ciò di cui si parla qui non è un nostalgico ritorno all'Iri, l'Istituto per la ricostruzione industriale del nostro paese uscito dalle macerie della seconda guerra mondiale. Un monolite pubblico che gestiva tutte le partecipazioni statali fino agli sprechi degli anni '80. Per noi non basta tornare indietro semplicemente alla funzione originaria della Cdp, ossia prestare agli enti locali per gli investimenti di lungo termine tramite mutui a tassi altamente agevolati - seppur oggi questa funzione sia più che necessaria soprattutto nel mezzo di una profonda recessione economica che sembra senza fine.

La mission della Cdp – per dirla all'anglosassone - va rivista a tutto tondo per dare risposte alle sfide enormi del presente, da una prospettiva più ampia di interesse pubblico. Questa stessa è evoluta negli ultimi anni, in particolare a fronte di una profonda crisi della rappresentanza politica e delle forme democratiche, ed in generale di un crollo nella fiducia riposta dai cittadini nello stesso Stato e nelle sue istituzioni.

Oggi la sfida è quella di ripensare un modello di banca pubblica - o per meglio dire “di interesse pubblico” - dei territori e per la promozione dei beni comuni. Per configurare in concreto un modello operativo di una tale banca è necessario riscoprire ed attualizzare forme di mutualità che colleghino risparmio a credito, e perciò promuovere nuove forme di democrazia economica e finanziaria diretta che permettano di decidere collettivamente quali azioni vadano finanziate con le risorse private dell'intera collettività – e per questo da considerare “risorse di interesse pubblico”. Un risparmio attivo e di scopo, deciso ed attuato collettivamente secondo una filiera corta della finanza, che renda questa finalmente controllabile ed indirizzabile verso ciò che serve davvero alla collettività. In tal senso allora possiamo parlare non di una semplice ripubblicizzazione, ma di una “socializzazione” della Cassa depositi e prestiti.

Ed allora cosa e come dovrebbe finanziare in pratica la nuova Cassa dei beni comuni e dei territori? Dovrebbe senza dubbio tornare a prestare in via preferenziale a tassi agevolati agli enti locali, ma anche ad altri soggetti meritori che operano sul territorio. Ma più importante dovrebbe farlo con una nuova prospettiva di promozione dei beni comuni, ancorandosi strutturalmente nei territori stabilendo un nuovo legame democratico con le popolazioni che vivono in questi.

Risparmio locale e sussidiarietà
Per raggiungere un tale obiettivo bisogna ripensare il ruolo dell'ente locale stesso in maniera pro-attiva e secondo una vera logica di sussidiarietà e decentramento. Ossia la nuova Cassa si dovrà articolare istituzionalmente su scala regionale e locale, tramite l'apertura di Casse regionali con sportelli operativi nei comuni o nelle unioni di questi. Casse locali, quindi, che siano sotto il controllo degli enti locali ed a cui la Cassa nazionale presti affinché i primi sostengano progetti precisi in maniera trasparente e controllabile.

Inoltre tali istituzioni finanziarie locali, così come quella nazionale, vanno dotate di una vera e propria licenza bancaria che consenta loro di prestare direttamente anche al settore privato non appoggiandosi più ad intermediari finanziari ed a banche private, come avviene oggi con la Cdp in maniera dubbia e poco trasparente, e per altro facendo lievitare i tassi di interesse concessi in ultima istanza ai beneficiari finali.

In questo modo l'ente locale potrà finanziare direttamente i propri investimenti (scuole, infrastrutture locali, bonifiche ed altro) oppure prestare a soggetti pubblici e privati meritori secondo le priorità della sostenibilità ambientale e sociale (start-up in settori ambientali, cooperative e così via), del recupero e della riconversione ecologica delle imprese e della promozione dei beni comuni (ad esempio le ex-municipalizzate dell'acqua ripubblicizzate, o altre aziende sotto il controllo pubblico che forniscano servizi pubblici locali).

Secondo una logica di rilocalizzazione del risparmio e della ricchezza privata si potrebbe anche pensare ad un vincolo da imporre alla raccolta sui singoli territori: una percentuale importante del risparmio postale raccolto sui territori, anche la metà se si vuole, dovrà essere impiegato su base provinciale o regionale. In questo modo si incentiverebbe il risparmio “locale” promuovendo una spinta virtuosa tra i cittadini ad investire le proprie ricchezze sui e per i propri territori. Ciononostante alcune forme di perequazione a livello nazionale dovranno pur sempre essere introdotte per favorire l'accesso al credito in maniera più uniforme in tutto il territorio nazionale secondo una logica di solidarietà.

Nonostante la forte decentralizzazione - o localizzazione se si vuole - la nuova Cassa potrà anche intervenire con i propri finanziamenti agevolati tramite la struttura centrale, direttamente senza passare tramite gli enti locali, in quelle situazioni di rilevanza nazionale o di emergenza, concernenti ad esempio la riconversione industriale di siti strategici o di larga scala, andando in questo ben oltre la semplice, seppur sacrosanta, difesa dei posti di lavoro. Si pensi ad esempio al caso dolente dell'Ilva, che con la sua bonifica rimane sempre non risolto in una prospettiva di lungo termine. Al fine di garantire un monitoraggio e controllo per tali interventi nazionali, la Commissione parlamentare di vigilanza sulla Cdp dovrà dare il suo assenso a fronte di un piano industriale elaborato dal governo con la consultazione di tutti i soggetti interessati e soprattutto delle popolazioni locali.

E' importante comunque tenere a mente che gli investimenti di lungo termine generano un forte vincolo finanziario, e quindi per far fronte ad eventuali richieste di liquidità da parte dei risparmiatori postali è sempre necessario che una parte ampia della raccolta del risparmio (anche più della metà come avviene oggi) sia immobilizzata in strumenti finanziari altamente liquidi.

E' necessario allora riflettere sulla possibilità che in una logica di sussidiarietà questa parte importante della raccolta del risparmio più che finanziare il debito dello Stato centrale a breve termine (con 130 e passa miliardi di Euro dei 2.000 di debito pubblico complessivo) rifinanzi invece a breve termine il debito degli enti locali (pari a circa 150 miliardi di euro), così sottraendo questi alle grinfie dei sistema bancario privato e delle frodi collegate – si veda l'annosa questione dei derivati acquistati dagli enti locali negli ultimi dieci anni. In ogni caso maggiore trasparenza deve essere introdotta riguardo all'utilizzo di questi investimenti di breve termine, molto più di quanto ce ne sia oggi sulle partite di giro tra Cdp e Ministero dell'economia.

Risparmio di scopo e democrazia

Collegare il più possibile la raccolta territoriale del risparmio con i suoi utilizzi sugli stessi territori, accorciando la filiera del credito, permette di creare più occasioni di controllo e di partecipazione nei processi decisionali sulla destinazione dei prestiti. E ciò riguarda sia gli strumenti del risparmio stesso come sono pensati e strutturati, sia la governance delle Casse dei territori e dei beni comuni a livello locale.

Per quel che concerne gli strumenti bisogna dare spazio alla creatività: si potrebbe ad esempio creare libretti di risparmio postale di scopo vincolati solamente ad alcuni utilizzi. Avremmo così il libretto di risparmio “per l'acqua bene comune”, che incanala i fondi raccolti verso i finanziamenti degli interventi sulla rete degli acquedotti; potremmo avere il libretto “scuole sicure”, che sostiene gli interventi per la messa in sicurezza delle strutture scolastiche; perché no, il libretto “idro-geologico”, che finanzia la messa in sicurezza dei territori, oppure quello “climatico”, che sostiene chi investe in efficienza energetica o riduzione dell'utilizzo di combustibili fossili. E se poi un gruppo di cittadini ha qualche nuova idea si possono raccogliere le firme per questa nuova destinazione del risparmio e raggiunta una soglia prefissata (ad esempio 5.000 firme) si crea un nuovo tipo di libretto di risparmio di scopo.

Andando oltre gli strumenti, vere e proprie nuove forme di rappresentanza e funzionamento democratico delle Casse potrebbero essere create. Sia a livello centrale, che locale, i consigli di amministrazione dovrebbero essere composti in maniera ben diversa da quanto avviene oggi, aprendo ad una rappresentanza diretta delle forze sociali e di organizzazioni che rappresentano interesse diffuso, inclusi i nuovi movimenti sociali che stanno emergendo. Tra questi anche associazioni locali “per il risparmio di interesse pubblico”, che unirebbero i singoli risparmiatori postali sui territori. Si potrebbe imporre per legge anche una turnazione a tempo obbligatoria delle cariche, introducendo anche una quota di rappresentanza nei consigli locali per singoli cittadini o soggetti giuridici estratti a sorte. Una tale nuova governance consentirebbe di sicuro nuove forme di controllo ed un ripensamento della democrazia rappresentativa e della delega in senso più ampio.

Ma anche questa democratizzazione degli organi dell'ente pubblico non basterebbe, se non si prevedono nuovi meccanismi di dialogo, scambio ed elaborazione comune tra i beneficiari ultimi dei mutui ed i risparmiatori. In tal senso le spesso lunghe attese negli uffici postali offrirebbero l'opportunità per gli incontri di comitati di risparmio locali allargati a quei soggetti che si propongono per ricevere un mutuo. Le necessità dei soggetti economici del territorio sarebbero presentate, socializzate, discusse e lo scopo di un singolo o pochi potrebbe diventare quello di tutti.

L'appetito vien risparmiando, insieme
Qualcuno a questo punto, giunto alla fine di questo testo, si chiederà perché in questa operazione di grande scala per la risocializzazione del risparmio e del credito non si vada oltre il risparmio postale, anche se i numeri di questo sono già importanti. E' vero, i cittadini ed i lavoratori depositano i loro risparmi anche in altri strumenti ed istituzioni finanziari, che come la Cdp sono sempre più fuori del controllo pubblico e nelle mani di pochi interessi privati e di mercato. I fondi pensione integrativi potrebbero essere gestiti sempre in forma decentralizzata da questa nuova Cdp reinventata, come l'abbiamo descritta in questo capitolo. Così che sempre più fondi della collettività sono reincanalati ed utilizzati sui territori fuori dalla logica speculativa dei mercati finanziari globali.

Si può allora immaginare che anche le tesorerie dei comuni si possano appoggiare su soggetti bancari diversi e non più sulle banche private, anche se questo richiederebbe nuove banche commerciali risocializzate, e non solo nuove banche di investimenti come la Cassa dei territori e dei beni comuni.

E' una logica nuova che qui proponiamo: pensare alle istituzioni finanziarie di interesse pubblico non solo come uno strumento per servire finalmente gli interessi di gran parte della collettività da cui provengono i risparmi gestiti, secondo un sano principio di democrazia economica e finanziaria. Ma anche usare queste istituzioni come uno strumento potente che permetta progressivamente di svuotare dei risparmi dei cittadini i mercati finanziari privati, la cui ingordigia ed ossessione per l'extra profitto, ai danni della collettività e dei beni comuni, è all'origine della crisi sistemica che viviamo. “De-finanziarizzare” l'economia e la società, finanziando i beni comuni ed un futuro migliore per i nostri figli. Facciamo cassa noi questa volta, andiamo nell'ufficio postale di zona e iniziamo a chiedere libretti postali di scopo, andiamo poi in consiglio comunale e chiediamo che si esca dalla crisi insieme riprendendo il controllo sui nostri risparmi. Prima che il prossimo speculatore di turno ce li tolga definitivamente.

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