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lunedì 7 ottobre 2013

L’epidemiologo: «Non esiste rischio zero. Ma si può intervenire»

Intervista a Vittorio Krogh, coordinatore italiano dello studio su smog e tumori del polmone. Si riduce il rischio se si riducono le emissioni, a partire dal traffico e dai motori diesel
Il traffico urbano è una delle principali fonti evitabili di polveri sottili
Il traffico urbano è una delle principali fonti evitabili di polveri sottili
Vittorio Krogh ha coordinato il gruppo di lavoro italiano nello studio apparso su Lancet Oncology, che ha consolidato le prove dell’esistenza di un legame fra inquinamento dell’aria e tumore al polmone. Guida la struttura complessa di Epidemiologia e Prevenzione della Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano.
Il rilievo di questo lavoro è dato soprattutto dalla metodologia. L’indagine, hanno sottolineato Takashi Yotifuji e Saori Kashima nel loro commento sulla rivista, è stata progettata in maniera da superare i limiti di tanti altri studi sull’inquinamento
Abbiamo cercato di ridurre gli errori con misurazioni sia dell’esposizione, sia dell’outcome (i tumori), seguendo le persone con verifiche specifiche per ciascuna area o a livello individuale, tutto per quasi 13 anni. Abbiamo tenuto conto di fattori confondenti importanti, come il fumo, rispetto a studi precedenti che si limitavano a evidenziare una relazione geografica fra il tasso di incidenza della malattia e l’esposizione agli inquinanti.
Quali sono gli elementi più importanti emersi?
Abbiamo registrato una relazione fra esposizione e tumore polmonare di tipo lineare. Significa che per ogni incremento di 10 μg/m 3  c’è un aumento del 22% del rischio di tumore al polmone e del 50% di adenocarcinoma. In altre parole, anche al di sotto delle soglie previste dalla Comunità europea (40 μg/m 3 per il PM10), la relazione è la stessa: le persone esposte a concentrazioni di 30 μg/m 3 di polveri sottili sono al di sotto della soglia, ma comunque esposte a un rischio di adenocarcinoma del 50% più alto rispetto a chi respira un’aria con 20 μg/m 3.
Non esiste un rischio zero, insomma.
No, ma l’aspetto positivo è che se si riduce la componente dell’inquinamento, si riduce anche il rischio di tumore. Esiste una possibilità reale di intervento e di prevenzione.
Come?
Riducendo le fonti di emissione, che per il PM10 sono soprattutto i motori diesel (cancerogeno noto da tempo, ndr), il riscaldamento a gasolio, gli impianti industriali, i termovalorizzatori, oltre a molte altre componenti ambientali che non dipendono dall’uomo. Si può agire a livello di trasporto, riducendo i motori diesel. Con i nuovi filtri si riducono le emssioni, ma non sono ancora chiari gli effetti a lungo termine. Bisogna anche tenere conto che il rischio non è uguale in tutta Europa. Da qualunque mappa dell’inquinamento da PM10 è evidente l’enorme zona blu in corrispondenza della Pianura Padana, e questo sia per fattori geografici e atmosferici, sia per fattori umani. Torino e Roma a livello europeo sono le città a più alta concentrazione di polveri sottili, insieme ad Atene. Ma non vuol dire che non si possa far niente, anzi!
In che modo le polveri sottili aumentano il rischio di cancro?
Il PM10 è un veicolo per cancerogeni di vario tipo. Le micropolveri sono particelle in grado di raggiungere zone profonde dell’apparato respiratorio, e ad esse si aggregano le sostanze presenti nell’atmosfera. La capacità di penetrazione, e dunque la dannosità, dipendono dalla grandezza del particolato. Il PM2,5 penetra la parete dell’alveolo polmonare e riesce addirittura ad entrare in circolo.
Ci saranno sviluppi di questi studi sullo smog?
Sì, stiamo lavorando ai dati sugli effetti dell'inquinamento in altre patologie, tumori ma non solo.
Donatella Barus

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